Taglio cuneo fiscale

Taglio del cuneo fiscale: un reale sostegno all’impresa?

Il 1° maggio 2023 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il Decreto Lavoro, che taglierà di 4 punti percentuali il cuneo fiscale. In termini semplici, il cuneo fiscale è la differenza tra lo stipendio lordo, versato dal datore di lavoro, e la cifra netta percepita dal dipendente in busta paga. Nello specifico, questo taglio andrà ad aggiungersi a quello già effettuato tramite la Legge di Bilancio per i redditi inferiori ai 35mila euro annui.

Presentato come sostegno tangibile contro l’aumento del costo della vita, -parole del ministro Giorgetti- il Decreto Lavoro si pone l’obiettivo di fronteggiare l’annoso problema dell’inadeguatezza salariale italiana. L’idea alla base non è una novità: adeguare gli stipendi al costo della vita permetterà di aumentare i consumi della popolazione, creando più mercato per le imprese.

Ma un minore ammontare di trattenute in busta paga rappresenta una vera soluzione al problema?

Cosa cambia in busta paga?

Questa misura, valida da luglio a dicembre 2023, permetterà di appesantire le buste paga dei lavoratori con retribuzione lorda annua fino a 35mila euro. Più nel dettaglio:

  • per retribuzioni fino a 25mila euro lo sconto percentuale salirà al 7 percento, contro il precedente taglio di 3 punti;
  • per la fascia compresa tra i 25 e i 35mila, invece, il taglio percentuale arriverà al 6 percento, dai 2 punti di cui già godeva.

Stando alle elaborazioni dello studio De Fusco Labour & Legal, questi tagli si tradurranno in un aumento di 96 euro al mese circa per un reddito di 25mila euro e di circa 99 euro per un reddito di 35mila euro.

La situazione italiana

In base al rapporto Taxing Wages reso noto dall’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), nel 2021 il cuneo fiscale in Italia è stato del 46,5%, al quinto posto della classifica. In testa, il Belgio (52,6%), seguito da Germania (48,1%), Austria (47,8%) e Francia (47%).

Ciò nonostante, dall’elaborazione Openpolis sui dati Ocse, la variazione dello stipendio medio in base all’inflazione nel decennio 1990-2020 si è attestata ad un 25,5% per il Belgio, 33,7% per la Germania, 24,9% per l’Austria e un 31,1% per la Francia, contro lo scoraggiante primato italiano che segna un peggioramento del -2,9%. Questo implica che gli stipendi in Italia, a differenza di quanto accaduto negli altri Paesi con elevata pressione fiscale, non sono stati adeguati all’inflazione degli ultimi vent’anni. È, quindi, evidente come l’erosione del potere d’acquisto nel nostro caso sia multifattoriale.

Vi è poi un’ulteriore considerazione da fare: nel caso in cui l’Italia dovesse ridurre il debito pubblico dello 0,85% del Pil, così come previsto, per il governo sarebbe a dir poco difficile riuscire a reperire finanziamenti per un nuovo taglio del cuneo fiscale nel 2024. È, perciò, chiaro come questo genere di misura vada interpretata in un’ottica di temporaneità, più che come un’effettiva soluzione a medio-lungo raggio.

Il vero motivo per cui gli stipendi sono così bassi

Sempre dati Ocse alla mano, è possibile notare che la produttività generale dei fattori (manodopera, capitali, ecc.) è praticamente la stessa dal 1985 in Italia; eccezion fatta per il biennio 2020-21, dove la statistica è stata pesantemente influenzata dalla pandemia e dal lockdown.

In un contesto di scarsa produttività, le uniche due strategie per poter rimanere competitivi a livello internazionale consistono nel mantenere una bassa retribuzione, oppure applicare politiche economiche che vadano ad aumentare il debito pubblico per compensare la svalutazione del tasso di cambio. Da queste valutazioni, emerge il fatto che il vero nocciolo della questione non è tanto nella tassazione del lavoro, quanto nella mancata crescita economica del paese.

Certo, una delle cause di questo è dovuta all’elevata tassazione e alla difficoltà di accedere al credito (e il rapporto della Banca Mondiale, Doing Business, lo conferma), ma il Centro Studi Fondazione Ergo sottolinea come siano da prendere in considerazione anche la tendenza diffusa nel tessuto produttivo italiano a:

  • Non investire in innovazione;
  • Effettuare produzioni a basso contenuto tecnologico;
  • Non investire abbastanza nella formazione dei lavoratori (con conseguente disallineamento tra domanda e offerta di lavoro);
  • Non preparare adeguatamente i manager e gli imprenditori stessi.

Inoltre, secondo un ulteriore studio basato sulle statistiche Eurostat 2019-2021, oltre alle cause precedentemente nominate, a incidere sul valore del salario medio italiano, si aggiunge:

  • Una forte discontinuità lavorativa (ricorso eccessivo a contratti di lavoro non standard);
  • Una crescente presenza di qualifiche più basse (scarse quote di dirigenti, professioni intellettuali e scientifiche).

Conclusioni

Andando ad analizzare le cause del ristagno economico italiano, emerge quindi come il cuneo fiscale elevato sia solamente parte di una situazione più complessa e sfaccettata. In definitiva, riteniamo che il futuro dell’impresa italiana, più che fare affidamento su “soluzioni tampone”, come possono essere quella del taglio al cuneo fiscale, debba puntare a una strategia lungimirante, che miri a tornare competitiva sul panorama europeo e internazionale, tramite interventi di riqualificazione del tessuto produttivo.

Se sei interessato a ridurre i costi del personale della tua azienda e/o vuoi richiederci una consulenza specializzata, contattaci all’indirizzo bfaimpresa@bfamail.com.

HR crisi d'impresa

Il ruolo delle Risorse Umane nella gestione delle crisi aziendali

Crisi aziendale e piano di gestione per la crisi

Per “crisi aziendale” si intende una minaccia, esterna o interna, ai valori fondamentali e alle funzioni operative aziendali che può portare, nei casi più gravi, al fallimento della società. Al giorno d’oggi, ogni azienda dovrebbe redigere un piano per la gestione della crisi (crisis management plan), volto a rilevare e minimizzare il potenziale danno rappresentato da una crisi.

Ma che ruolo possono avere le Human Resources (HR) nella gestione di una crisi aziendale?

Una crisi aziendale può avere un grave impatto sulla salute mentale dei dipendenti, nonché sulla loro capacità di svolgere adeguatamente le loro mansioni ed è qui che entra in gioco il ruolo dell’HR. Com’è noto, due delle funzioni principali riconosciute all’HR nel mondo aziendale sono quelle di gestire la comunicazione interna, in particolare tra dipendenti e manager, e garantire il benessere del personale sul posto di lavoro. In effetti, si dimostra che incorporare il benessere dei dipendenti all’interno del proprio piano di gestione della crisi conferisce maggiori possibilità di successo, rispetto alle aziende che si occupano esclusivamente di proteggere i sistemi e i processi aziendali, senza quindi cercare di salvaguardare il capitale umano aziendale.

Obiettivi dell’HR in relazione alle crisi aziendali

L’HR, quindi, deve essere in grado di:

  • informare i dipendenti sulle potenziali crisi che possono interessare l’organizzazione;
  • rendere i dipendenti consapevoli del loro ruolo nell’affrontare la crisi.

A tal proposito, spesso le risorse umane creano e conducono corsi di formazione e sviluppo professionale all’interno dell’organizzazione. In particolare, la formazione sulla gestione delle crisi per la direzione e il personale chiave è una componente fondamentale di un’efficace gestione delle crisi.

Lo scopo finale della gestione della crisi è quello di riportare l’azienda verso le normali operazioni, nel modo più efficace possibile. Nonostante il fatto che alcune crisi siano impossibili da prevedere o pianificare, ha comunque senso la gestione delle crisi aziendali. Infatti, è proprio il modo in cui tali crisi vengono gestite a fare la differenza tra ripresa organizzativa e collasso. Il ruolo delle risorse umane, in questi tempi delicati, è quello di guidare politiche e strategie che diano priorità al benessere dei dipendenti e promuovano una comunicazione interna aperta e costruttiva.

Social Recruiting su LinkedIn (1)

Il Social Recruiting su LinkedIn: un mezzo non solo per i Recruiter

LinkedIn non è solamente un social network utilizzato dai recruiter. Infatti, può – e deve essere –  uno strumento utile anche per il candidato che vuole “essere cercato” per un’eventuale opportunità di lavoro. Spesso, i recruiter sono in difficoltà nello svolgere la ricerca su LinkedIn, sia a causa della difficoltà di trovare profili adeguati al settore in cui si sta cercando, sia perché gli utenti non colgono le grandi potenzialità nascoste in questa piattaforma.

Cosa dovrebbe fare il candidato?

LinkedIn è un social network a tutti gli effetti e, come tale, richiede un certo investimento di tempo: se usato bene, può essere un’ottima vetrina. In altri termini, il candidato deve essere in grado di farsi trovare, rendendo quindi il suo profilo chiaro, trasparente ed interessante. Sul lato pratico, spesso si osservano profili incompleti e spenti (ad esempio, senza alcuna foto). Un profilo, per essere considerato attraente da parte del recruiter, dovrebbe trasmettere credibilità e completezza, inserendo anche qualcosa di personale (ma comunque utile ai fini della selezione), ponendosi domande come:

  • cosa faccio?
  • che problemi risolvo?
  • che impressione voglio dare come persona?
  • quali sono i miei hobby?

Di fatto, nonostante si tratti di un profilo professionale, si possono evidenziare anche gli hobby e le passioni, in quanto spunti importanti per fornire elementi di discussione durante un eventuale colloquio. Anche l’inserimento di keyword è significativo, in quanto il recruiter, nel momento in cui avvia una ricerca, lo fa attraverso parole chiave per individuare il profilo più adatto alle sue esigenze.

Cosa dovrebbe fare il recruiter?

Evidentemente, dall’altro lato, anche il profilo del recruiter deve essere completo, adeguato e credibile, in quanto ne va della sua reputazione come professionista. In effetti, il candidato incuriosito deve poter trovare conferma della professionalità e veridicità delle informazioni nel profilo del suo recruiter.

Inoltre, si osserva che un errore comune commesso dai recruiter è quello di non creare una community importante, ma usare LinkedIn come un semplice database di CV: si sminuisce, così, il concetto della piattaforma “sociale”. Questo aspetto è importante, perché solo creando una vera community e solo se usato con intelligenza e professionalità, LinkedIn può essere impiegato come mezzo per trovare, coinvolgere, costruire e coltivare relazioni con potenziali candidati.

Concludendo, nella fase di ricerca di lavoro, sia dal lato del candidato che dal lato del recruiter, ciò che conta veramente sono le relazioni, la credibilità, il personal brand e la completezza del profilo per costruire un rapporto con le persone. Il tempo ben investito porterà sicuramente a dei buoni risultati.

Rottamazione-quater

Rottamazione-Quater: la proroga dei termini “secondo” il MEF

Nell’ambito della c.d. rottamazione-quater, una novità assai recente è intervenuta con il comunicato stampa n. 68 del 21 aprile 2023 scorso, da parte del MEF, che ridefinisce il termine per presentare la domanda di adesione alla procedura, rinviandolo dal 30 aprile al 30 giugno 2023.

Rottamazione-Quater, di cosa si tratta?

La L. n. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023) ha introdotto, all’art. 1 co. 231-252 la c.d. “rottamazione-quater”, la nuova procedura di rottamazione delle cartelle di pagamento relative debiti tributari e contributivi contenute in carichi affidati all’agente della riscossione (ex Equitalia, ora Agenzia Entrate-Riscossione) dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022.

L’agevolazione per il contribuente consiste nello stralcio degli interessi, degli aggi e delle sanzioni amministrative; ciò comportando, sul piano pratico, che siano dovute unicamente le somme a titolo di capitale, nonché le spese di notifica della cartella e di rimborso spese per le eventuali procedure esecutive.

Chi può beneficiare della rottamazione?

La rottamazione è fruibile:

  • dai contribuenti che non hanno presentato domanda per le rottamazioni precedenti;
  • dai contribuenti che hanno aderito alle precedenti rottamazioni e che sono decaduti a seguito di mancato pagamento delle rate;
  • dai contribuenti che hanno fruito del c.d. “saldo e stralcio” degli omessi versamenti ex L. 145/2018 e che sono decaduti a seguito di mancato pagamento delle rate;
  • dai contribuenti che hanno in corso rate relative al c.d. “saldo e stralcio” e alle precedenti rottamazioni.

Le modalità operative per accedere alla definizione

Il beneficio è fruibile mediante la presentazione, da parte del contribuente, di una dichiarazione telematica (secondo le modalità indicate dall’agente della riscossione sul proprio sito internet) recante la volontà di aderire all’agevolazione rinunciando agli eventuali contenziosi pendenti relativi ai carichi che intende definire, con l’indicazione eventuale del numero delle rate, fino al massimo di 18, con cui intende effettuare il pagamento di quanto dovuto. Tale domanda deve essere presentata entro il 30 giugno 2023.

In un momento successivo, e comunque entro il 30 settembre 2023, l’agente della riscossione comunicherà al contribuente l’importo delle somme o delle rate da versare, con le relative scadenze (entro la stessa data dovrà essere comunicato l’eventuale diniego della richiesta avanzata, con evidenza delle motivazioni di rigetto della stessa – l’eventuale diniego potrà essere impugnato davanti al giudice tributario).

Dopodiché, al fine del perfezionamento della procedura, il pagamento dovrà essere tempestivo. Il mancato, tardivo o insufficiente versamento, infatti, che sia superiore a cinque giorni dell’unica rata ovvero di una di quelle in cui è stato dilazionato il pagamento delle somme comporta la decadenza dal beneficio in oggetto.

In base alle nuove scadenze, il pagamento della prima o unica rata ha come termine il 31 ottobre 2023, mentre la seconda rata, in base al calendario attuale e salvo eventuali modifiche future, ha scadenza il 30 novembre 2023. Sia la prima che la seconda rata dovranno essere pari, ciascuna, al 10% delle somme complessivamente dovute a titolo di definizione agevolata, mentre le restanti (16) rate saranno di pari importo e avranno scadenza il 28 febbraio, 31 marzo, 31 luglio e 30 novembre di ciascun anno.

I versamenti potranno avvenire mediante bollettini precompilati allegati alla comunicazione, tramite domiciliazione bancaria o presso gli uffici dell’agente della riscossione. È in ogni caso esclusa la compensazione.

La proroga dei termini e le nuove scadenze

Come anticipato sopra, il termine per la presentazione della domanda è stato ora rinviato al 30 giugno, “slitta” così di conseguenza al 30 settembre 2023 (invece che al 30 giugno) il termine entro il quale l’Agenzia delle Entrate-Riscossione è tenuta a comunicare al contribuente quanto dovuto ai fini del perfezionamento della definizione.

Il comunicato del MEF si conclude specificando che interverrà una nuova disposizione, la quale stabilirà che il termine per il pagamento della prima o unica rata, originariamente fissato al 31 luglio 2023, slitterà al 31 ottobre 2023.

Per richieste specifiche o approfondimenti relativi alla rottamazione, contattaci all’indirizzo bfaimpresa@bfamail.com.

Digital trasformation

Digital Transformation: un abilitatore per la trasformazione interna dell’azienda, non solo upgrade tecnologico

Sempre di più il termine Digital Transformation è entrato nel vocabolario quotidiano delle aziende. Se ne parla a tutti i livelli: ne parla l’imprenditore, ne parlano i manager e ne parlano le persone che gestiscono le attività quotidiane dell’ufficio.

È probabilmente uno dei “trend topic” del momento ed è difficile trovare un’azienda che non stia sperimentando progettualità di trasformazione digitale. Il tema e la sua rilevanza sono stati ribaditi una volta in più durante lo scorso G20 in Indonesia di fine 2022.

Una delle definizioni che, secondo me, ne restituisce una fotografia realistica può essere la seguente:

“un insieme di cambiamenti abilitati dalle nuove tecnologie, in termini: operativi, gestionali, organizzativi, manageriali e di cultura interna.”

Io ritengo che la Digital Transformation debba essere un’occasione per ripensare e semplificare il modo di lavorare in azienda, facendo leva sulle nuove tecnologie.

Non deve essere una copia digitale delle attuali modalità di lavoro o un mero upgrade tecnologico. Il tutto tenendo sempre bene in considerazione il problema da risolvere e/o il vantaggio che si vuole conseguire.

Quali aspetti prendere in considerazione?

Nell’equazione della Digital Transformation quindi si possono tenere in considerazione tre elementi:

  1. Tecnologia quale fattore abilitante di nuovi modi di lavorare;
  2. Valore e/o vantaggio creato dall’usare nuovi strumenti di lavoro;
  3. Livello di adozione della tecnologia da parte delle persone nella quotidianità e conseguente sviluppo di nuove competenze in azienda.

Per questo motivo credo che le Funzioni HR debbano sempre di più partecipare attivamente ai progetti di trasformazione digitale, mettendo in campo tutti i loro strumenti di supporto e affiancamento alle persone affinché ogni progetto digitale possa divenire un caso di successo.

Alcuni esempi possono essere:

  • formazione e upskilling di team e persone;
  • analisi e riprogettazione di ruoli e responsabilità all’interno dell’organizzazione;
  • ottimizzazione dei processi interni, eliminando le attività a basso valore aggiunto;
  • attivazione di percorsi di adozione e change management;
  • comunicazione interna ed ingaggio delle persone;

e non solo!

Da dove partire, quindi?

Le esperienze progettuali degli ultimi anni mi portano a suggerire di applicare una metodologia specifica di gestione dei progetti di trasformazione digitale, basata su:

  1. Creare un team di progetto, già dalle prime battute, che sia multidisciplinare tra IT, Business e HR;
  2. Operare uno scouting delle tecnologie di mercato per le specifiche esigenze e/o obiettivi e raccogliere informazioni su best practises ed opportunità create dall’adozione della nuova tecnologia;
  3. Gestire il progetto di trasformazione digitale in modo integrato, mettendo al centro le persone per un’efficace adozione della tecnologia.

Il successo risiede nell’armonizzare queste 3 componenti affidando un mandato chiaro ai manager dell’azienda.

Articolo blog_linkedin per ricerca talenti

3 consigli per lanciare un’offerta di lavoro efficace su Linkedin.com

LinkedIn sta crescendo ad una velocità incredibile. Lo dicono i numeri: si registrano alla piattaforma più di 2 nuovi utenti al secondo.
Questo come si traduce per le aziende e i Recruiter presenti su LinkedIn?
Poter attingere ad una rete di candidati e potenziali clienti / collaboratori sempre più ampia e varia. Solo in Italia, infatti, ci sono attualmente 16 milioni di iscritti.

Se in questo momento sei alla ricerca di nuove Risorse da inserire nella tua azienda, LinkedIn può essere lo strumento giusto. Esiste, infatti, una funzionalità che permette di pubblicare offerte di lavoro, sia gratuitamente che a pagamento.
Per accedervi è necessario cliccare in alto a destra sulla voce “Lavoro” e cliccare su “Pubblica un’offerta di lavoro”.

Per sfruttare a pieno le potenzialità di questo strumento e facilitare il lancio della tua prossima offerta di lavoro, voglio darti alcuni consigli pratici.

1. Inserisci la qualifica che descrive al meglio la persona che stai cercando

La prima informazione che ti viene richiesta per trovare il candidato giusto è inserire la qualifica. LinkedIn te ne proporrà una lista tra le quali scegliere.
Se, però, nessuna di queste calza a pennello con la tua ricerca, non temere: potrai inserirne una personalizzata, che descrive al meglio la risorsa che stai cercando.

2. Sii esaustivo nella job description

La job description deve fornire tutti i dettagli sulla posizione in modo chiaro e dettagliato.

Non dimenticare, dunque, di riportare:
– Una breve descrizione della tua azienda
– Le attività che andrà a svolgere la risorsa
– Le skills (soft e hard) che si richiedono al candidato
– La natura del contratto, i benefit previsti e la RAL

Fai attenzione a non discriminare i candidati per genere, età, sesso, orientamento politico, ecc. LinkedIn potrebbe bloccarti l’annuncio.

3. Non dimenticare le competenze!

Inserisci le competenze che deve possedere il candidato.
In questo modo l’algoritmo raggiungerà le persone che risultano più in linea con la tua ricerca. 

Se ti interessa approfondire il tema relativo alle Risorse Umane, contattaci all’indirizzo e-mail consulenza@bfaimpresa.com oppure visita il nostro sito web.

Progetto senza titolo (22)

Outplacement: cos’è e come aiuta l’Azienda e le Risorse in uscita

Outplacement, che in italiano si traduce in “ricollocazione”, è il servizio che segue la gestione delle persone in uscita dalle aziende.

Disciplinato dal ddl 276/2003, è uno strumento che riguarda sia singoli lavoratori sia gruppi più numerosi che stanno per essere licenziati o sono in procinto di cassa integrazione / mobilità.

Questo processo prevede una fase di orientamento e valorizzazione delle professionalità del dipendente in uscita per agevolare successivamente il suo reinserimento nel mercato del lavoro.

La risorsa viene seguita da un Professionista che la guida nella transizione di carriera, aiutandola a valutare le sue capacità e a definire i suoi interessi, allineandosi alle esigenze del mercato del lavoro.

Come poter trasformare questo momento delicato in un’opportunità di crescita per entrambe le parti?

In questa fase di cambiamento accompagnare le risorse che hanno fatto parte della vita dell’impresa è fondamentale sia dal punto di vista professionale che personale.

Questo momento può rappresentare un’opportunità di crescita per:

  • l’azienda, che in questo modo si prende cura delle risorse in uscita;
  • il dipendente che lascia il proprio impegno, che si sente supportato in un momento delicato della propria vita;
  • il personale, che percepisce la presenza dell’azienda anche nelle situazioni di difficoltà.

In questa dinamica di cooperazione tra l’azienda e il dipendente in uscita si inserisce anche l’agenzia di consulenza che fa da mediatrice tra le due parti.

L’outplacement si sviluppa, dunque, in 4 momenti:

  • l’analisi delle competenze del collaboratore;
  • la preparazione degli strumenti necessari per la ricerca di un nuovo lavoro: revisione e aggiornamento del cv e lettera di presentazione;
  • l’analisi di mercato e la ricerca di nuove opportunità lavorative;
  • il supporto nella fase di colloquio e trattativa fino all’assunzione;

I vantaggi dell’outplacement

I vantaggi di questo processo interessano direttamente il lavoratore ed indirettamente anche l’azienda. Quest’ultima, infatti, dimostra di avere a cuore il benessere professionale e personale dei propri collaboratori e rafforza l’employer branding.

I lavoratori diventano dei testimoni diretti di come l’azienda si interessi al loro benessere e i vantaggi che essi possono trarne sono molteplici:

  • riduzione dell’ansia e della sofferenza causate dal cambiamento;
  • ridefinizione delle proprie competenze e sviluppo della propria carriera;
  • consapevolezza delle proprie capacità e della propria professionalità.

L’outplacement può portare, dunque, a dei benefici da ambo le parti; il successo di questo processo è dato però dalla coerenza e dalla costanza del processo.

Se vuoi saperne di più sul servizio di Outplacement, contattaci all’indirizzo consulenza@conimpresa.it

2-Workout-on-stage

Workout on stage: la nuova frontiera della formazione

Questo palco nella foto rappresenta per me un piccolo grande traguardo, un modo del tutto nuovo di approcciare alla sicurezza anche con l’occhio rivolto allo stare bene.

Riavvolgo il nastro e vado con ordine: Aprile duemilaventidue, dopo varie giornate di formazione, lezioni di anatomia, prove pratiche ed esami finali mi abilito come istruttore di allenamento funzionale (tradotto: è un allenamento cardio basato sulla ripetizione a circuito di vari esercizi che coinvolgono tutti i distretti muscolari, ma soprattutto se svolto in gruppo e con la musica a palla è davvero divertente).

La premessa è questa, lo pratico già da qualche anno e ultimamente mi si era accesa una lampadina: perché non provare a portare alla ribalta il tema del benessere dei lavoratori proponendo alle aziende di organizzare piccole sessioni di “palestra”, permettendo di coinvolgere chi tra i dipendenti e collaboratori volesse partecipare?

Uno degli argomenti a me più cari è sempre stato quello dello stress da lavoro: tematica delicata, parlare di qualcosa che riguarda “noi”, il nostro modo di essere all’interno di un ambiente di lavoro, di percepire e di rapportarci con gli altri di sicuro non è un qualcosa di così facile da esternare, o quanto meno da raccontare in aula alla presenza di qualcuno che magari nemmeno conosco.

Insomma, aprirsi su questo fronte è difficile, se non addirittura sconveniente.

Mi scervellavo alla ricerca di nuovi spunti per sviscerare l’argomento durante i corsi e renderlo più stimolante: interviste a Simon Sinek (autore di “Partire dal perché”, consigliatissimo!), Mr. Feynman e l’importanza di coltivare curiosità e divertimento in ciò che si fa, Julio Velasco che con le sue riflessioni ci fa capire quanto sia essenziale il concetto di fare squadra.

A tutte queste personalità che per me in primis sono state e sono ancora adesso fonte di grande ispirazione ho cercato di aggiungere qualcosa di mio, pensando soprattutto allo stare in forma. Il mio motto è molto semplice ma è diventato un mantra in cui credo fortemente: lavoro bene se sto bene.

Che assomiglia al molto più famoso “mens sana in corpore sano” e da qui sto sviluppando un progetto che apra la formazione a nuovi orizzonti, in particolare quello della promozione dello star bene attraverso l’attività fisica che diventa un momento di coinvolgimento per tutto il gruppo, spingendo le aziende e le persone che ne fanno parte a mettersi in gioco.

Passiamo un terzo della giornata lavorando, la settimana lavorativa “breve” è sicuramente un tema attuale ma ancora forse utopistico per i nostri tempi; valorizziamo meglio le ore passate in azienda investendo del tempo “extra” per il nostro benessere, con la voglia di rafforzare il team e imparare a conoscerci, spingendoci oltre i limiti e mettendoci alla prova con nuove attività alla portata di tutti.
Steve Jobs diceva che “il tuo lavoro riempirà gran parte della tua vita e l’unico modo per essere veramente soddisfatto è quello di fare ciò che credi sia un grande lavoro”.

Conclusione?

Asciugamano e borraccia, siamo pronti per iniziare!

Articolo_benessere 1 (1)

Benessere in Azienda: cosa vuol dire star bene nell’ambiente di lavoro?

Rinnovare l’azienda significa rinnovare le tecnologie, ma anche prendersi cura del luogo fisico di lavoro e dei propri collaboratori.
Vivere l’ambiente lavorativo in una situazione di benessere porta ad esprimersi al massimo e a produrre risultati eccellenti.

Si parla spesso di creare team, di lavorare in team, di collaborare, di raggiungimento degli obiettivi, ma vorrei che gli imprenditori si soffermassero anche sul luogo di lavoro.
Un ambiente pulito, curato e rinnovato fa sentire al collaboratore di avere un valore per la propria azienda e lo rende partecipe.

La nuova cultura del benessere è basata anche sulla conciliazione tra lavoro ed esigenze personali, non intese solamente come orari, ma come rispetto della personalità, dei gusti, delle esigenze personali e professionali.

La nostra filosofia parte dall’osservazione dei luoghi di lavoro e delle persone nelle varie postazioni. Negli anni, abbiamo capito che la maggior parte dei collaboratori ama il proprio lavoro, ma poi è spesso ricompensata solo con la retribuzione economica e raramente può esprimersi efficacemente in un luogo in cui ci si occupa anche del benessere psicologico ed emotivo.

Le relazioni sane tra colleghi vengono aiutate da un ambiente caldo, solare, pulito e curato.
Sono ormai numerosi gli studi a livello internazionale che confermano che chi si sente bene e a proprio agio lavora con maggior dedizione ed impegno. Star bene fa aumentare la creatività e la proattività.
Al contrario, chi non si sente apprezzato e reputa il proprio posto di lavoro inadeguato, diminuisce la produttività e fa il minimo indispensabile, senza stimoli verso il miglioramento.

Oggi va molto di moda parlare di lean production e di come metterla in opera a livello teorico in azienda, ma spesso questo si fa solo per valutare la produttività. Se invece volessimo applicare la filosofia lean ai fini del benessere aziendale vedremmo e potremmo misurare quanto si ridurrebbero gli sprechi e di quanto aumenterebbe il livello di comunicazione e di produttività.

E voi? Avete mai pensato di accogliere i vostri dipendenti con della frutta fresca tutte le mattine?

Se hai piacere di sottopormi le tue necessità in termini di gestione delle risorse umane o di selezione, contattami all’indirizzo e-mail consulenza@conimpresa.it

Articolo blog Saggioro (1)

Patch Adams e la chiave di volta per una formazione vincente

Qualche sera fa, catapultato sul divano dopo una giornata di formazione in aula, cambiando canale alla tivù alla ricerca di qualche programma interessante prima di cadere in un sonno profondo, mi sono imbattuto in uno dei miei film preferiti, Patch Adams. Credo di averlo visto ormai una decina di volte ma sono sempre stato un grande fan di Robin Williams, per cui mi metto comodo pronto a rigustarmelo.

Per chi non lo avesse mai visto, è la storia del giovane Hunter “Patch” Adams che, durante un volontario ricovero in un ospedale psichiatrico, rendendosi conto della scarsa attenzione e del disinteresse con cui vengono trattati i pazienti ospiti della struttura, decide di iscriversi alla Facoltà di Medicina per cambiare le cose, adottando fin da subito un approccio completamente atipico per un medico.

Patch è indubbiamente un personaggio carismatico che decide di andare oltre la classica visita “austera” e di entrare in contatto con i pazienti, dedicando loro tutte le cure e le attenzioni per migliorarne la qualità della vita e accantonare anche solo per un attimo il dolore per la malattia.

Rifletto sul messaggio che il film vuole trasmettere e penso che in fondo l’idea è molto simile a quello che per me è il significato di fare formazione sulla sicurezza. L’empatia viene definita come “la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona”; e credo sia uno dei fattori più importanti per portare a casa la soddisfazione dei partecipanti ad un corso di formazione.

Questa riflessione parte da una mia personale consapevolezza maturata negli anni: classe ’94, entro nel mondo della sicurezza dalla porta sul retro (non sono ingegnere ma all’università ho studiato “cosa dice la normativa”). Quasi subito entro in aula, partendo dalla co-docenza.

Me la ricordo bene la mia prima ora ad affrontare l’argomento dello stress da lavoro; snocciolo definizioni in maniera molto accademica e tra i partecipanti sento chi a stento trattiene le risate, qualcuno dice “tutto giusto ma la realtà è ben diversa”. Da lì in poi mi accorgo (fortunatamente) di una cosa, la più importante e quella che ogni giorno mi fa scegliere questo lavoro sempre con più grinta: se vuoi conquistarli, non devi annoiarli. Anzi, meglio ancora: se vuoi farli ricredere e far sì che a fine corso siano soddisfatti e che vengano anche a cercarti per farti domande perché interessati ad approfondire, devi anche farli divertire.

Credo che oggi il vero valore aggiunto di fare formazione stia nel costruire un dialogo con chi partecipa, utilizzando le modalità di linguaggio più disparate ma sempre innovative, trasmettendo entusiasmo e cercando di coinvolgere il più possibile e con genuinità di contenuti.

Se davvero vogliamo trasmettere alle persone la necessità di operare in sicurezza, serve prima di tutto lavorare sulla loro responsabilità, spronandole a dare il massimo. Occuparsi del benessere dei lavoratori nel breve termine significa produrre effetti benefici nel lungo termine: al di là del classico “aumento di produttività”, la vera conquista è riuscire a favorire un clima di lavoro piacevole salvaguardando la salute delle persone.

Che formatore voglio essere? perché dovrebbero scegliermi? la risposta l’ho trovata in un altro film con lo stesso attore protagonista, L’Attimo Fuggente. La scena in cui il Professor Keating, citando Walt Whitman, sussurra “che tu puoi contribuire con un verso”: l’insegnamento che ne traggo è che non esiste persona o professione che possa vivere senza passione e ottimismo per realizzare grandi cose.

Articolo blog_Mazzi

Job Description: un elemento fondamentale per un efficace processo di ricerca, selezione e inserimento di nuove Risorse Umane

Si parla spesso di ricerca e selezione del personale, della fatica che fanno le aziende a trovare personale talentuoso e proattivo, ma si parla poco di come impostare la ricerca e soprattutto da dove partire.

Se non sai bene dove sei, come fai a sapere dove vuoi arrivare?

Per fare un esempio matematico, per due punti A e B passa una ed una sola retta, ma si devono conoscere A e B…

È quindi il momento di stilare accuratamente la Job Description, ovvero la descrizione puntuale, approfondita, precisa e dettagliata delle mansioni che verranno affidate al nuovo collaboratore/trice.

Ritengo che più riusciamo a redigere la Job Description in modo preciso più spunti arriveranno anche per il reparto o addirittura per l’azienda.

Le prime linee dovrebbero occuparsi di capire se le mansioni sono quelle reali o se c’è bisogno di un aggiornamento, se sono quelle effettive e necessarie o quelle che l’imprenditore crede siano necessarie.

Dopo aver compilato con cura l’elenco delle mansioni, dobbiamo decidere le competenze necessarie per svolgerle al meglio.

Quali competenze stai ricercando?

Le competenze possono essere tecniche o personali.

Le doti tecniche sono le conoscenze professionali legate all’ambito lavorativo: il saper fare.
Le doti personali sono le competenze trasversali legate alla personalità: il saper essere.

Per terminare dobbiamo dare un valore a ciascuna competenza per capire a cosa non si può rinunciare e a cosa invece possiamo anche soprassedere.

Se stiamo cercando un Responsabile Commerciale per il Nord Europa, possiamo forse rinunciare all’approfondita conoscenza di un programma informatico, ma non possiamo in nessun modo rinunciare alle capacità comunicative, all’empatia e alla conoscenza professionale della lingua inglese.

Quanto vale una Job Description fatta bene?

Come abbiamo visto, l’importanza di una Job Description ben fatta è fondamentale perché non stiamo sicuramente cercando UN collaboratore, ma stiamo cercando IL collaboratore migliore per l’azienda e per il Team.

Questo per dire che non si devono mai sottovalutare nemmeno gli aspetti del carattere, ricordiamo sempre che il nuovo collaboratore deve essere efficace sì, ma deve essere anche compatibile con i colleghi e con il Team.

A parità di competenze tecniche, non dobbiamo scegliere la persona più simpatica a noi, ma quella più compatibile con i potenziali colleghi.

In conclusione

Detto così, sembra facile, se non addirittura banale a tratti, ma ancora oggi e sempre di più mi trovo di fronte ad imprenditori che, presi dalla complessità sempre crescente del loro business, non possono certo sviluppare tutte le competenze utili a identificare chi devono (e vogliono) avere all’interno del loro organico aziendale.

È sempre una soddisfazione poter portare la consapevolezza di una scelta ponderata e proprio per questo dedico volentieri tempo alla conoscenza di nuove situazioni.

Se hai piacere di sottopormi le tue necessità in termini di gestione delle risorse umane o di selezione, contattami all’indirizzo e-mail segreteria@conimpresa.it

immagine copertina articolo

Tutti i dati per conoscere lo scenario digital e social del 2022

È fresco di pubblicazione il tanto atteso report di We are social, in collaborazione con Hootsuite, con una serie di dati aggiornati sull’utilizzo di Internet e di strumenti digital assolutamente da conoscere.

Quante persone nel mondo utilizzano i Social Media?
Quali sono quelli più usati?

we are social – Digital 2022

Rispetto all’anno precedente, il numero di persone che utilizzano i social media è cresciuto oltre il 10%, raggiungendo i 4,62 miliardi di persone, circa il 58,4% della popolazione mondiale, oltre il 71% di quella italiana e il 93,4% degli utenti di Internet.

Alla domanda “quale piattaforma social preferisci”, al primo posto troviamo WhatsApp (15,7%), seguito da Instagram (14,8%) e Facebook (14,5%). Più indietro TikTok (4,3%), che risulta comunque l’app più scaricata nel 2021.

we are social – Digital 2022

Quanto tempo passiamo ogni giorno sui Social Media?
Per quale motivo?

we are social – Digital 2022

Se guardiamo il tempo medio speso quotidianamente sui Social Media, l’Italia si attesta su circa 1 ora e 47 minuti.

A partire dal lockdown 2020, il tempo medio speso sulle piattaforme social è mano a mano cresciuto, attestandosi nel 2021 a 2 ore e 27 minuti al giorno, circa il 35% del tempo trascorso online.

La piattaforma dove si passa più tempo è YouTube, circa 24 ore al mese, seguito da Facebook e TikTok con 19,6 ore ciascuno.

Perché spendiamo così tanto tempo sui social?

Tra le motivazioni principali:

  1. Restare in contatto con parenti e amici
  2. “Riempire” il tempo libero
  3. Leggere novità
  4. Trovare contenuti
  5. Scoprire di cosa si parla intorno a noi

Come si comporta l’Advertising sui Social Media?

we are social – Digital 2022

I social rappresentano decisamente ambienti fondamentali per raggiungere i consumatori.

L’audience Adv di gennaio 2022 su Facebook è di 2 miliardi e 100 milioni di persone, su TikTok si attesta a 885 milioni di persone ed infine quella su YouTube a 2 miliardi e 500 milioni.

Grazie all’advertising sui social, oltre 1 persona su 4 scopre nuovi brand, prodotti o servizi, un risultato non molto distante da quello della TV e dei motori di ricerca.

Oltre alla scoperta quasi 1 persona su 4 segue attivamente brand sui social e 1 su 8 tende a condividere contenuti dei brand che segue su base mensile.

In sintesi:

Facebook rimane la piattaforma più utilizzata al mondo con 2,91 miliardi di persone e con una crescita del 6,2% nell’ultimo anno (+170 milioni di utenti).

TikTok continua a crescere. Questa piattaforma rappresenta un vero e proprio punto di riferimento per i marketers durante la fase di sviluppo delle creatività per le campagne social.

E LinkedIn?

Ha vissuto un anno di grazia con un aumento nel numero di utenti registrati dell’11%. Crescita che porta il totale di utenti iscritti a oltre 808 milioni a gennaio 2022.

Dunque, come si devono comportare i brand?

Per i brand diventa fondamentale essere presenti su queste piattaforme comunicando non solo il proprio prodotto o servizio, ma soprattutto contenuti di valori che permettano di esaltare il brand nella sua essenza.

Diventa sempre più importante, inoltre, mettere al centro della propria strategia di comunicazione i clienti e i propri collaboratori, costruendo con loro una relazione di fidelizzazione ed empatia.

copertina inbound rid

L’Inbound Marketing è una strategia vincente?

Una buona strategia di marketing può aiutare davvero gli utenti a trovare quello di cui hanno bisogno senza essere bombardarti quotidianamente da pubblicità invasive?
La risposta è sì.
Come? Attraverso l’Inbound Marketing.

Cos’è l’Inbound Marketing?

L’Inbound Marketing è, per definizione, un approccio customer-centrico. Ovvero una strategia di marketing integrata, volta ad attirare i potenziali clienti creando contenuti di valore ed esperienze customizzate per loro.

Quando e perché scegliere l’Inbound Marketing?

Il marketing tradizionale, noto anche come outbound marketing, punta ad una comunicazione mono-direzionale, tramite attività pubblicitarie di vario genere.
Questo approccio prevede che l’azienda e i suoi prodotti o servizi vengano spinti all’esterno verso un target molto ampio.
Questo metodo ha funzionato, ma ora, in questo periodo storico, ha un ritorno sull’investimento (ROI) molto basso e spesso finisce con l’irritare chi subisce la pubblicità invasiva.


L’inbound, invece, si concentra sulla creazione di contenuti di valore che possono interessare il potenziale cliente tanto da attirarlo nel tuo sito web, sulla pagina social o sulla landing page, ecc.
Con l’inbound non sei tu, azienda, ad andare dal potenziale cliente, ma è lui a cercare te.

In questa metodologia è importante il contenuto?

La soluzione migliore per incuriosire ed attirare i potenziali clienti, senza l’utilizzo di pubblicità massiva e per fare in modo che conoscano e apprezzino il tuo brand, è quello di offrire contenuti di qualità creati appositamente per loro, che soddisfino i loro bisogni, le loro curiosità e che possano in qualche modo essere loro d’aiuto nelle problematiche quotidiane, senza la ricerca sfrenata di un ritorno economico immediato.

È un percorso grazie al quale si inizia a conoscere e a creare una relazione con le Personas.

L’azienda deve, quindi, creare, distribuire e condividere contenuti rilevanti e utili per i propri prospect, in modo da attrarre attenzione, suscitare interesse, costruire relazioni e, infine, stimolare azioni coerenti con i propri valori e obiettivi di business.

Quali sono i passaggi chiave dell’Inbound Marketing?

I passaggi sono principalmente di 4: attirare, convertire, chiudere e deliziare.

Per ognuna di queste fasi sarà però necessario adattare i contenuti al contesto nel quale si trova il cliente.

1) Attirare

Conosci i bisogni delle tue Personas ed attirale.

Innanzitutto bisogna attrarre le persone giuste, ovvero quelle che hanno più probabilità di diventare contatti; in poche parole, le persone potenzialmente interessate al tuo prodotto o servizio.

Dato che quasi la totalità di utenti che naviga nel web fa ricerche online tramite Google, uno dei modi più rapidi per mettere in atto la metodologia di Inbound Marketing è essere presenti sui motori di ricerca, grazie agli strumenti che Google ci mette a disposizione, quali ad esempio Google Ads, che permette all’azienda di comparire tra i primi risultati a seconda delle parole chiave inserite e del contenuto della landing page che abbiamo impostato.

Lo step successivo: convertire.

2) Convertire

È importante adesso convertire i visitatori in contatti, garantendo loro risposte concrete e soluzioni in linea con i loro bisogni.

Il processo di conversione inizia sempre con una landing page, semplice e accattivante con al suo interno una call to action (CTA), ovvero una chiamata all’azione immediata, che permette ad esempio di poter scaricare gratuitamente un e-book, la demo di un prodotto/servizio e molto altro. Perché è importante raccogliere i dati degli utenti? Perché quanti più dati riesci a raccogliere dai tuoi contatti, tanto più potrai conoscerli e, quindi, coinvolgerli in futuro con i contenuti giusti per loro.

3) Chiudere

Si tratta forse della fase più importante, che in concreto porta un ritorno in termini economici a chi sviluppa la strategia di marketing e comunicazione.

In questa fase chi offre un prodotto o un servizio dovrebbe già avere un’idea chiara delle necessità e degli obiettivi dei potenziali clienti.  Non tutte le persone, infatti, nel momento in cui convertono, sono subito pronte all’acquisto: alcune di loro potrebbero esserlo dopo una settimana, un mese o addirittura un anno. Conseguentemente ci può volere un po’ di tempo affinché dalla fase di conversione si possa passare alla fase di chiusura.

È importante creare un rapporto diretto e duraturo con i potenziali prospect, affinché non si dimentichino del prodotto/servizio, continuando ad interagire con i contenuti di valore pubblicati in modo tale da aumentare il numero di clienti e diminuire i tempi decisionali di acquisto.

4) Deliziare

Il metodo Inbound Marketing non termina con la fase 3.

Risulta fondamentale deliziare i clienti, dando loro un’esperienza utente di valore e rilevante che li incoraggi a diventare dei veri e propri promotori del brand. L’obiettivo di questo nuovo modo di fare marketing, infatti, non è solo quello di convertire i clienti finali, ma ha anche la volontà di mantenere i clienti soddisfatti, offrire informazioni che possano essere utili, prendersi cura di tutti quei contatti raccolti che, anche se magari non diventeranno mai clienti, saranno predisposti positivamente nei confronti dell’azienda, diventando comunque un mezzo di diffusione per la stessa.

È molto più facile vendere qualcos’altro a chi è già tuo cliente, piuttosto che trovarne uno nuovo.

Strumenti e tecniche dell’Inbound Marketing

L’Inbound Marketing è una metodologia che raggruppa strumenti e tecniche del web marketing (sito web, blog, social media, SEO, adwords, adv, landing page…) con l’obiettivo di portare più visitatori, convertirli in contatti del database, segmentarli in base alle interazioni con i contenuti che vengono presentati nel sito, nei social network e nelle newsletter, per coltivare la relazione (lead nurturing) e trasformarli in clienti prima, influenzatori naturali poi. Questa metodologia permette di coprire ogni passaggio che conduce a trasformare un estraneo in potenziale cliente e, successivamente, in fan della tua azienda.

Per ciascuna delle fasi esistono strumenti diversi, specifici e adatti per ogni necessità. Blog, podcast, video, e-book, newsletter, tecniche di ottimizzazione per i motori di ricerca (tra tutti SEO e SEM), attività di social media e content marketing.

La chiave per riuscire ad attuare una strategia vincente non è quella di limitarsi ad attuare le tecniche elencate in precedenza, ma di coordinarle tra loro, con l’obiettivo ultimo di instaurare relazioni durature con i clienti.

In conclusione…

In questa società, sempre più veloce, dove il web e i canali social influenzano le nostre decisioni quotidiane, i consumatori sono esposti a sempre più informazioni. Questo fenomeno li sta rendendo più istruiti sui prodotti e servizi di loro interesse e sta cambiando anche il loro comportamento di acquisto. Conseguentemente le strategie di marketing e di comunicazione devono mirare a rispondere a questo cambiamento.

Per avere successo nell’Inbound Marketing le aziende devono introdurre un approccio più strutturato nella creazione dei contenuti, nel dialogare con la sua community, inserendo anche strumenti di Marketing Automation per fare lead nurturing e ottimizzare l’esperienza di acquisto dei potenziali clienti e l’esperienza di vendita dei commerciali.

crisi impresa copertina

Il rinvio del Codice della Crisi e dell’Allerta: al via la nuova composizione negoziata

L’art. 1 del D.L. 24 agosto 2021, n. 118, in vigore dal 25 agosto 2021, ha modificato l’art. 389 del D.Lgs. 14/2019, stabilendo il differimento al:

  • 16 maggio 2022 dell’entrata in vigore del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, che avrebbe dovuto essere operativo dal 1° settembre 2021, per effetto dell’art. 5 del D.L. 23/2020, in luogo dell’originaria decorrenza del 15 agosto 2020;

  • 31 dicembre 2023 dell’applicabilità delle disposizioni previste dal titolo II, riguardanti gli strumenti di allerta, gli indici della crisi, l’OCRI, il procedimento di composizione assistita della crisi e le misure premiali.

Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa

Il successivo art. 2 del D.L. 118/2021, in vigore dal 15 novembre 2021, ha introdotto un nuovo istituto di risanamento, costituito dalla “composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa”.

In particolare, tale norma riconosce all’imprenditore agricolo e commerciale (anche se “sotto soglia” o appartenente ad un gruppo di imprese), in condizioni di squilibrio patrimoniale oppure economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza, la possibilità di richiedere al Segretario Generale della Camera di Commercio – individuata in base alla sede legale dell’impresa – la nomina di un esperto indipendente, quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa (verificabile anche tramite una nuova piattaforma telematica nazionale).

Tale professionista svolgerà un ruolo di “facilitatore”, in quanto incaricato di agevolare le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati. Questo al fine di individuare una soluzione per il superamento dello squilibrio critico, anche mediante il trasferimento dell’azienda o di suoi rami (che potrà essere autorizzato dal Tribunale senza l’applicazione dell’art. 2560 c.c., fermo restando l’art. 2112 c.c.).

La domanda presentata dall’imprenditore potrebbe, inoltre, consentire l’accesso ad alcuni specifici benefici.
Ad esempio: le misure protettive e cautelari, oltre a quelle premiali, la sospensione degli obblighi civilistici di ricapitalizzazione, l’autorizzazione all’assunzione di finanziamenti prededucibili e la rinegoziazione dei contratti.

In conclusione…

La conclusione delle trattative con i creditori potrà condurre alla sottoscrizione di un accordo che produrrà gli stessi effetti del piano attestato di risanamento, senza la necessità dell’attestazione, oppure di una convenzione di moratoria, nonché al deposito dell’istanza di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

In alternativa, è possibile predisporre un piano attestato di risanamento, o proporre una domanda di concordato preventivo “semplificato”, per la liquidazione del patrimonio, direttamente omologabile dal tribunale, non essendo previsto il voto dei creditori (che possono comunque opporsi all’omologazione).

Si segnala, infine, che l’art. 20 del D.L. 118/2021, in vigore dal 25 agosto 2021, ha anche apportato alcune significative modifiche alla Legge Fallimentare, in materia di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti e convenzioni di moratoria.

passaggio generazionale

Passaggio generazionale: gestirlo o subirlo?

Come una programmazione adeguata può generare profitti e “benessere aziendale”

Nel corso dei prossimi 3-5 anni si stima che il 20% delle aziende italiane si troverà ad affrontare la delicata fase del passaggio generazionale. Questo fenomeno riguarda principalmente le medie e piccole aziende nate dai primi anni 70 in avanti.

Ma cosa si intende esattamente per passaggio generazionale e cosa comporta?

Il passaggio generazionale riguarda la fase della vita di un’impresa in cui l’imprenditore si trova a dover o voler gestire il trasferimento dell’azienda di famiglia ai propri successori in modo da garantirne la continuità. Oltre al passaggio di capitali ha dunque anche aspetti organizzativi e di know how aziendale.

Inoltre poi, accanto ai risvolti aziendali di tipo gestionale e patrimoniale entrano spesso in gioco componenti di tipo personale, emotivo e familiare.
La combinazione di tutte queste esigenze, di cui alcune difficilmente gestibili dal punto di vista razionale, può incidere negativamente sui risultati aziendali e diventare perfino un fattore di crisi per l’impresa.

Le statistiche ci fanno osservare, infatti, come solo poche aziende sopravvivono alla prima generazione e pochissime arrivano alla terza.

passaggio generazionale pianta

Quali sono le ragioni di tali conseguenze?

In primis, la sottovalutazione di questa fase aziendale e la mancanza di una adeguata e tempestiva pianificazione del passaggio generazionale.
In realtà la successione generazionale va considerata come un vero e proprio progetto da realizzare. Questo in quanto deve strutturarsi nella fase progettuale, mappatura dei rischi, identificazione dei tempi, valutazione dei soggetti coinvolti e degli obiettivi.


Oggi, la normativa mette a disposizione molte soluzioni giuridiche per poter gestire le varie fasi con ragionevole grado di controllo e verifica periodica del processo.
Come tutte le criticità, anche il passaggio generazionale può divenire una opportunità. Infatti, se gestito in modo consapevole e strutturato si può arrivare a parlare di profitto generazionale.


Prima di avventurarci ulteriormente sul tema del passaggio generazionale, occorre fare una breve digressione sull’aspetto successorio. Infatti la successione generazionale potrebbe essere indotta precocemente da eventi esogeni e indipendenti dalla volontà dell’imprenditore. Senza un’adeguata pianificazione successoria si potrebbe arrivare al fallimento dell’impresa o all’abdicazione forzata.

Volendo poi passare a considerare la gestione del processo suggeriamo fondamentale porsi due domande principali:

passaggio generazionale mongolfiere
  • Passaggio generazionale vuol dire necessariamente tramandare l’azienda alla famiglia?

  • In alternativa, anche in considerazione della dimensione aziendale e del settore di attività, non è forse più vantaggioso pensare alla vendita dell’azienda e/o all’inserimento di un management esterno, anche a tempo?

Il passaggio generazionale classico è quello che avviene con il trasferimento tra il padre imprenditore e il figlio. Quando questo accade il processo richiede un complesso di valutazioni che non possono essere affrontate dall’imprenditore in autonomia. Ciò in quanto entrano in gioco i fattori indicati in premessa, quelli di tipo personale e familiare che rendono difficile un adeguato distacco e quindi una gestione obiettiva del processo.
Spesso infatti gli aspetti formali e giuridici vengono sottovalutati a favore di quelli prettamente aziendali come la conoscenza dell’attività e l’esperienza.

Per passare la mano, anche gradualmente, occorre creare i presupposti al fine di evitare che il passaggio dell’azienda comporti anche il passaggio di problematiche fiscali e penali legate a operazioni effettuate con eccessiva semplificazione.
Per non parlare, come si diceva prima, di perdita della continuità aziendale in termini di strategia. Non di rado tali cambiamenti possono condurre ad una crisi di impresa con tutte le problematiche connesse a responsabilità per amministratori e soci.

passaggio generazionale valore

Un’adeguata pianificazione, invece, permette di individuare la strada migliore per la realizzazione di un passaggio generazionale a valore aggiunto.
Senza generare perdite all’impresa, ma creando un vero e proprio processo di re-startup aziendale.

Alcuni casi trattati hanno riguardato:

  • il passaggio generazionale volontario con la piena partecipazione dell’imprenditore e degli eredi;
  • il passaggio generazionale realizzato mediante una nuova realtà esterna all’impresa oggetto di passaggio, ma sinergica o affine o addirittura in concorrenza, ma con canali distributivi diversi affidata all’erede o agli eredi per poi ricondurre tutto ad un’unica realtà.

Ovviamente, per entrambe le soluzioni, occorre una consapevole partecipazione delle parti in gioco adeguatamente assistite da professionisti e consulenti per lo studio e l’applicazione del piano di passaggio.
Senza un tale supporto il passaggio può essere solo traumatico comportando danni interni all’impresa e ai principali stakeholder quali: banche, fornitori e clienti.

Quali sono i rischi del passaggio generazionale?

Riepiloghiamo allora qui di seguito i principali rischi della successione generazionale:

  • sovradimensionamento (strutturale-organico-mancanza di organizzazione);
  • figure chiave che possono approfittare della fase di passaggio per far valere il proprio potere contrattuale nell’impresa;
  • sotto-capitalizzazione;
  • crisi di liquidità;
  • impreparazione delle nuove leve;
  • individuazione dei ruoli e dei contrappesi.
passaggio generazionale scacchi

Il piano industriale dedicato da mettere in atto deve contenere tutte le valutazioni necessarie alla gestione del passaggio per garantire la continuità aziendale, come: un business plan, un’analisi dei rischi e delle opportunità.
In tal modo, il percorso diventa più semplice per tutte le figure coinvolte delineando un percorso chiaro per il successore e rendendo più fluido il suo inserimento nella gestione.

Un altro aspetto importante da considerare è quello riguardante la capitalizzazione.
Le piccole e medie imprese, infatti, sono spesso sotto-capitalizzate. Cioè un capitale di rischio (mezzi propri) inadeguato rispetto alle reali esigenze economico – gestionali dell’impresa stessa.
Questo fenomeno non solo causa instabilità finanziaria, ma anche scarsa credibilità dell’impresa agli occhi delle banche e dei creditori.


Anche a questo proposito, consigliamo di programmare gli investimenti, in considerazione dell’imminente passaggio generazionale. Quindi di ponderare attentamente quando è il momento ideale per investire e, soprattutto, quanto capitale impiegare.


Dal punto di vista finanziario, il passaggio generazionale di un’azienda potrebbe cadere in un momento di scarsa liquidità. In genere a causa dello sfasamento temporale tra incassi e pagamenti ed in presenza di affidamenti e finanziamenti non adeguati, l’azienda potrebbe trovarsi in mancanza delle risorse disponibili.
È essenziale quindi tenere sotto controllo il conto economico ed in particolare le varie voci di costo e ricavo di un certo periodo.
Opzioni vincenti possono essere quella del ricorso ai Minibond o il favorire l’ingresso di nuovi soci che conferiscano ovviamente capitale, secondo il principio dell’Equity.

Cosa ti consigliamo di fare in questa situazione

passaggio generazionale stretta mano

Per garantire la continuità aziendale un buon imprenditore deve allora acquisire la capacità di sviluppare un piano successorio completo in modo da trasformare i rischi in plus per l’impresa.
Un progetto a tutto campo tocca ambiti diversi e necessita di competenze integrate, ma allo stesso tempo fortemente specializzate.
Diventa allora complesso per l’imprenditore trovare in alcune figure tutte le risposte e il supporto adeguato.

Per questo BFA Sistema ha sviluppato il servizio di consulenza per la successione aziendale che fa perno su un Team Multidisciplinare.
L’imprenditore può essere supportato e dialogare con un unico consulente sfruttando però le competenze di diversi professionisti specializzati ognuno nella propria disciplina.

Se sei interessato a conoscere di più sul “piano di successione aziendale”, contattami all’indirizzo mail bifolco@bfamail.com