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Strategie di Employer Branding per l’area Risorse Umane: come attrarre e mantenere i migliori talenti

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, l’Employer Branding è una strategia fondamentale per la creazione e promozione di un’immagine positiva dell’azienda come datore di lavoro.

Il dipartimento delle Risorse Umane svolge un ruolo centrale in questo, in quanto mira a comunicare la cultura, i valori, le opportunità di sviluppo e i vantaggi che l’azienda offre ai dipendenti attuali e potenziali.

Un Employer Branding forte contribuisce all’attrazione di talenti di alta qualità e al mantenimento di una forza lavoro impegnata.

Qual è la strategia più efficace?

Per un Employer Branding di successo è necessario:

  1. Articolare una cultura aziendale coinvolgente: il dipartimento HR deve lavorare a stretto contatto con la direzione aziendale per definire e comunicare una cultura aziendale coinvolgente, che dovrebbe poi riflettersi anche nei processi di reclutamento, sviluppo dei dipendenti e valutazione delle performance;
  2. Coinvolgere i dipendenti: il coinvolgimento dei dipendenti è fondamentale per costruire un Employer Branding autentico; il dipartimento HR dovrebbe raccogliere feedback e storie di successo dai dipendenti e utilizzarli per creare una narrazione positiva;
  3. Comunicazione chiara: il team delle Risorse Umane dovrebbe creare una comunicazione chiara e trasparente sugli aspetti positivi della cultura aziendale, i vantaggi e le opportunità di crescita. Questo può essere fatto attraverso il sito web dell’azienda, i social media, i blog aziendali e le piattaforme di recruiting;
  4. Sviluppo di programmi di sviluppo: Il dipartimento HR dovrebbe promuovere programmi di sviluppo professionale che dimostrino l’investimento dell’azienda nei dipendenti. Questi programmi possono includere opportunità di formazione, mentoring e piani di crescita professionale;
  5. Monitoraggio e adattamento continuo: l’Employer Branding è un processo in continua evoluzione. Il dipartimento HR dovrebbe monitorare costantemente il feedback dei dipendenti, le metriche di reclutamento e la reputazione online dell’azienda per apportare miglioramenti e adattamenti.

L’Employer Branding come elemento di successo dell’azienda

In conclusione, l’Employer Branding è un elemento cruciale nel successo dell’azienda nel suo complesso. Una reputazione positiva del datore di lavoro può aiutare a catturare i talenti migliori, migliorare la soddisfazione dei dipendenti e promuovere una cultura aziendale positiva.

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Come l’Employer Branding può aiutarti nella ricerca del candidato ideale

Nell’ambiente aziendale altamente competitivo di oggi, le organizzazioni stanno capendo che non solo devono cercare talenti di alto livello, ma anche convincerli a rimanere. L’Employer Branding è una disciplina chiave nell’HR e si concentra sulla creazione e promozione di un’immagine positiva e attraente dell’azienda come datore di lavoro.

L’Employer Branding si può suddividere in:

  • Employer Branding esterno
  • Employer Branding interno

Cosa si intende per Employer Branding esterno?

Per Employer Branding esterno si intende il creare e mantenere una reputazione aziendale, una brand identity, credibile per il pubblico, utilizzando i canali social per trasmettere i propri valori e la propria filosofia.

Adesso, infatti, i potenziali candidati prima di inviare la propria candidatura cercano informazioni sull’azienda guardando i canali social.

La cura dell’immagine aziendale, tuttavia, è solo una parte di ciò che deve fare l’impresa per potersi garantire le candidature dei potenziali collaboratori. I possibili candidati guardano come l’azienda si presenta all’esterno, ma ciò su cui pongono maggior attenzione sono le recensioni sia dei clienti dell’azienda ma soprattutto quelle dei dipendenti.

Perché è importante l’Employer Branding interno?

Per Employer Branding interno si intende fidelizzare e coltivare i talenti già presenti in azienda, creando un ambiente di lavoro appagante per i collaboratori. Questo rappresenta un valore aggiunto che avrà un effetto positivo sia sulle loro performance che sui loro risultati.

Quali sono i vantaggi dell’Employer Branding?

  • Attrazione dei talenti: attira talenti di alto livello. I candidati preferiranno lavorare per un’azienda con una reputazione positiva come datore di lavoro;
  • Riduzione del turnover dei dipendenti: gli impiegati sono più propensi a rimanere in un’organizzazione che rispecchia i loro valori e soddisfa le loro esigenze;
  • Vantaggio competitivo: le aziende con una buona reputazione come datore di lavoro hanno meno difficoltà a reclutare talenti di qualità;
  • Aumento dell’impegno dei dipendenti: gli impiegati che si identificano con i valori e la cultura aziendale sono più impegnati e motivati, ciò ne migliora la produttività e la soddisfazione;
  • Crescita organizzativa: può attrarre investitori e partner commerciali, contribuendo alla crescita aziendale.

Nel prossimo articolo vedremo quali sono gli elementi di una strategia di Employer Branding vincente!

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Azienda pet-friendly: un approccio innovativo per attrarre e fidelizzare i talenti

Negli ultimi anni sempre più aziende stanno adottando politiche “pet-friendly” per accogliere gli animali domestici dei dipendenti nei luoghi di lavoro.

Questa tendenza è nata dalla consapevolezza dell’impatto positivo che la presenza degli animali può dare al benessere del personale e alla cultura aziendale.

L’ambiente di lavoro di molte aziende è spesso caratterizzato da livelli di stress elevati, che possono influenzare negativamente la produttività e il benessere dei dipendenti.

Quali sono i benefici di portare il proprio animale domestico a lavoro?

La presenza di animali domestici può contribuire a creare un ambiente più disteso e meno stressante. Diversi studi hanno dimostrato che interagire con gli animali può ridurre i livelli di stress e ansia, migliorando così il benessere generale del personale.

Inoltre, un ambiente di lavoro pet-friendly può migliorare l’umore dei dipendenti e l’atmosfera aziendale.

La possibilità di portare il proprio animale domestico al lavoro crea un senso di comunità tra i colleghi, favorisce la condivisione di momenti felici e può aumentare il senso di appartenenza all’azienda; questo, a sua volta, può tradursi in una maggiore soddisfazione lavorativa e in una diminuzione del turnover.

È da tenere presente che le aziende che adottano politiche pet-friendly possono trarre vantaggio anche nella “lotta” per il talento, in quanto molte persone considerano la possibilità di portare i propri animali domestici al lavoro come un vantaggio significativo.

Quali sono, invece, i lati negativi?

Va notato, però, che l’adozione di politiche pet-friendly richiede una pianificazione e un’organizzazione adeguata per gestire le eventuali sfide, che possono includere allergie dei colleghi, norme di igiene, regole di comportamento degli animali, e così via.

È fondamentale che le aziende mettano in atto linee guida chiare e promuovano la responsabilità dei proprietari di animali domestici per garantire un ambiente di lavoro armonioso.

È preferibile adottare o meno un approccio pet-friendly?

Riassumendo, adottare una politica pet-friendly può essere un passo innovativo nell’ambito delle Risorse Umane. Difatti questo approccio può migliorare il benessere del personale, favorire un ambiente di lavoro più piacevole e contribuire all’attrazione e alla fidelizzazione dei talenti.

Le aziende che abbracciano questa tendenza dimostrano una sensibilità verso le esigenze dei propri dipendenti e si pongono in una posizione privilegiata per competere nel mondo del lavoro moderno.

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Il Whistleblowing e il Decreto Legislativo 24/2023

Il 30 marzo 2023 è entrato in vigore il D.Lgs. 24/2023, che fa riferimento alla Direttiva (UE) 2019/1937, chiamata anche “Direttiva Whistleblowing”.

Con il termine whistleblowing si intende l’atto di segnalare comportamenti, atti od omissioni che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato di cui si è venuti a conoscenza per il proprio lavoro.

Questo decreto non rappresenta un primo approccio a questa tematica, in quanto la legge n. 1902 del 6 novembre 2012 aveva già introdotto, in relazione alla sola pubblica amministrazione, una prima disciplina sulla protezione del dipendente pubblico che segnali comportamenti illeciti durante l’attività lavorativa.

Una regolamentazione più compiuta del whistleblowing è sopraggiunta poi con la legge n. 1793 del 30 novembre 2017, che ha integrato la normativa concernente la tutela dei lavoratori del settore pubblico che segnalino comportamenti illeciti e ha introdotto forme di tutela anche per i lavoratori del settore privato.

Quali sono le novità che sono state apportate dal D.Lgs. 24/2023?

Le novità introdotte sono:

  • Raccogliere in un unico testo normativo l’intera disciplina, dapprima suddivisa in diverse leggi, dei canali di segnalazione e delle tutele riconosciute ai segnalanti (c.d. whistleblowers) sia del settore pubblico che privato;
  • Fornire maggiore tutela al whistleblower e ai suoi familiari, questo per cercare di incentivare le segnalazioni di illeciti nei limiti e con le modalità indicate nel decreto;
  • Allargare la platea degli enti organizzativi che avranno l’obbligo di applicare tale decreto, ovvero l’obbligo di adottare canali di segnalazione sicuri volti alla tutela della riservatezza dei whistleblowers pena l’applicazione di sanzioni;
  • Predisporre nuovi canali di segnalazione, oltre a quelli interni già esistenti;
  • Estendere il perimetro degli illeciti potenzialmente oggetto di segnalazione.

Quali sono gli enti coinvolti dal D.Lgs. 24/2023?

I soggetti che dovranno attuare il decreto sono sia enti pubblici che aziende / organizzazioni private.

In particolare, i soggetti del settore privato sono:

  • Enti che hanno impiegato, nell’ultimo anno, la media di almeno 50 lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato;
  • Enti che non hanno raggiunto la soglia dei 50 lavoratori subordinati, ma rientrano tra quelli obbligati al rispetto della normativa in materia di servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, tutela dell’ambiente e sicurezza dei trasporti;
  • Enti che rientrano nell’ambito di applicazione del d.lgs. 231/2001 e adottano modelli di organizzazione e gestione ivi previsti (anche se non hanno raggiunto la soglia dei 50 lavoratori subordinati).

Quali sono le scadenze per l’attuazione del D.lgs. 24/2023?

Il decreto deve essere attuato entro:

  • Il 15 luglio 2023 per enti/aziende che hanno un numero di dipendenti pari o superiore ai 250;
  • Il 17 dicembre 2023 per enti/aziende che hanno un numero di dipendenti che va dai 50 ai 249.

Di quali tutele gode chi compie la segnalazione?

Il whistleblower è la persona che segnala, ovvero denuncia all’Autorità giudiziaria o contabile, violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui è venuta a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato.

Le tutele che vengono fornite a questi soggetti sono:

  • Tutela di riservatezza: l’identità del segnalante non può essere rivelata a persone diverse da quelle competenti a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni;
  • Protezione dalle ritorsioni: è vietata ogni forma di ritorsione anche solo tentata o minacciata;
  • Limitazioni della responsabilità: non è punibile chi riveli o diffonda informazioni delle violazioni coperte da obbligo di segreto, relative alla tutela del diritto d’autore etc., purché al momento della segnalazione vi fossero fondati motivi per ritenere che la rivelazione o diffusione delle stesse informazioni fosse necessaria per svelare la violazione;
  • Misure di sostegno: consistono in informazioni, assistenza e consulenze a titolo gratuito sulle modalità di segnalazione e sulla protezione dalle ritorsioni offerta dalle disposizioni normative nazionali e da quelle dell’Unione Europea, sui diritti della persona coinvolta, nonché sulle modalità e condizioni di accesso al patrocinio a spese dello Stato.

Queste forme di tutela, oltre che al whistleblower, vengono garantite anche ai suoi familiari, colleghi e facilitatori; quest’ultimo è colui che assiste il segnalante durante il processo di segnalazione.

In che modo il whistleblower può fare una segnalazione?

Con il nuovo decreto un soggetto può fare una segnalazione utilizzando uno dei seguenti canali:

  1. Canale di divulgazione interno;
  2. Canale di divulgazione esterno;
  3. Divulgazione pubblica.

Per quanto riguarda il canale interno, questo deve essere progettato con misure di sicurezza tali da garantire, ove necessario anche tramite strumenti di crittografia, la riservatezza dell’identità del segnalante, delle persone coinvolte e comunque menzionate nella segnalazione, nonché del contenuto della stessa e della relativa documentazione.

La gestione del canale interno deve essere affidata a una persona o a un ufficio interno autonomo dedicato e con personale formato a riguardo oppure ad un soggetto esterno, anch’esso autonomo e con personale specificamente formato.

Il canale esterno rappresenta una delle novità del D.Lgs. 24/2023 che lascia all’autonoma e discrezionale valutazione del segnalante la decisione di attivare tale percorso al verificarsi di alcune specifiche condizioni.

L’Anac è il soggetto che ha l’onere di attivare la piattaforma informatica che consentirà il corretto funzionamento di tale percorso di segnalazione da parte del whistleblower e dovrà offrire le medesime garanzie di riservatezza già indicate per il canale di segnalazione interna.

In merito alla divulgazione pubblica, questa viene disciplinata dall’art. 15 del D.Lgs. 24/23 e come per le segnalazioni esterne vengono definite le condizioni al verificarsi delle quali il segnalante può utilizzare tale modalità; inoltre, il soggetto beneficerà delle medesime misure di protezione accordate dal decreto per l’utilizzo del canale interno/esterno.

Quali sono le sanzioni applicabili?

L’ANAC applica al responsabile le seguenti sanzioni pecuniarie:

  1. Da 10.000 a 50.000 euro quando accerta che sono state commesse ritorsioni o quando accerta che la segnalazione è stata ostacolata o che si è tentato di ostacolarla o che è stato violato l’obbligo di riservatezza;
  2. Da 10.000 a 50.000 euro quando accerta che non sono stati istituiti canali di segnalazione, che non sono state adottate procedure per l’effettuazione e la gestione delle segnalazioni, ovvero che l’adozione di tali procedure non è conforme alla normativa, nonché quando accerta che non è stata svolta l’attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute;
  3. Da 500 a 2.500 euro quando accerta che è stato violato l’obbligo di riservatezza circa l’identità del segnalante.

Perché è importante questo Decreto?

Per concludere, il Decreto Legislativo 24/2023 segna un notevole progresso nella promozione della cultura del whistleblowing in Italia.

Ha introdotto diverse novità alle normative precedenti, offrendo un maggiore sostegno e protezione ai segnalanti, sia nel settore pubblico che in quello privato. La garanzia della riservatezza dell’identità del segnalante, la protezione dalle ritorsioni e la limitazione della responsabilità nel caso di divulgazione pubblica sono aspetti fondamentali che incoraggiano la segnalazione di comportamenti illeciti dannosi per l’interesse pubblico.

L’obiettivo principale della Direttiva Whistleblowing è di promuovere un ambiente lavorativo più sano e trasparente, compiendo un passo importante verso una società più equa, etica e responsabile.

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L’importanza delle Risorse Umane per la crescita aziendale

Le Risorse Umane ricoprono un ruolo fondamentale in azienda. Investire in una solida struttura HR rappresenta un passo fondamentale per il successo e la crescita di ogni azienda.

Gran parte degli imprenditori, in particolare proprietari di PMI, per far crescere il proprio business tendono a focalizzarsi soltanto sui loro prodotti / servizi e clienti, dimenticando che la scelta e la gestione del personale può fare la differenza.

Un programma HR ben definito è essenziale per la crescita aziendale, poiché consente di individuare il personale più idoneo e motivare i dipendenti, contribuendo così a costruire un team solido e coeso.

Su cosa devono riflettere le aziende?

Ci sono tre principi fondamentali che devono essere considerati dagli imprenditori:

1. Le persone sono l’asset più importante che l’azienda possiede

Senza persone non c’è business.

I dipendenti sono il motore del successo dell’azienda, poiché conoscono ogni dettaglio dei prodotti e dei servizi offerti, oltre a gestire le relazioni con i clienti e i fornitori.

Tutto inizia con un solido programma HR che rende efficace la ricerca, la selezione e l’assunzione di candidati qualificati, tenendo in considerazione gli obiettivi e i valori aziendali.

2. La cultura aziendale ha un ruolo chiave

Una cultura aziendale che pone le persone al centro in ogni aspetto, dalla loro attrazione, inserimento, formazione, fino alla possibilità di fare carriera, crea un ambiente in cui i dipendenti vorranno rimanere e crescere insieme al business.

Quando un’azienda si prende cura dei propri dipendenti avrà un ritorno positivo non solo in termini di performance e risultati, ma ne migliorerà anche la reputazione aziendale.

Per poter fare ciò è necessario avere programma HR ben strutturato, attraverso il quale definire le strategie che l’impresa intende adottare per creare un ambiente di lavoro gratificante per i lavoratori; ad esempio attraverso l’implementazione di premi, opportunità di formazione e di crescita professionale.

3. L’HR è dinamico

L’HR è un settore dinamico e in continua evoluzione, poiché deve adattarsi costantemente ai numerosi e mutevoli bisogni dei dipendenti e dell’azienda stessa.

La direzione aziendale deve quindi lavorare insieme al team HR, interno o esterno, in modo da sviluppare una strategia che si basi sulle esigenze aziendali e sulla crescita futura mettendo sempre al primo posto le persone.

In conclusione

Le persone sono il fulcro dell’azienda, per questo è fondamentale creare una cultura aziendale che metta al centro il benessere dei dipendenti.

Collaborando attivamente con il team HR, l’azienda sarà in grado di costruire un gruppo di lavoro solido e motivato, migliorando sia le prestazioni che la reputazione aziendale.

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Fare selezione: può sembrare banale ma non lo è

Quando si pensa alla parola “selezione” si immagina questo scenario: un’azienda che ha bisogno di personale pubblica sul proprio sito internet un annuncio, riceve quindi i curricula da vari candidati e dopo alcuni colloqui assume una persona. Niente di più, niente di meno. Giusto? Diciamo che è un buon inizio per sapere in generale cosa fa un Recruiter. Queste elencate sono le attività che tutti conosciamo di questa figura professionale, però “fare selezionesignifica tanto altro.

In cosa consiste davvero il processo di selezione del personale?

Quando un’azienda attiva una ricerca del personale, in realtà, l’esigenza che si presenta è ben stratificata, così come lo sono le modalità per individuare la figura ideale.

1- Per prima cosa il responsabile della selezione redige una job description, dove sono racchiuse le caratteristiche richieste e le responsabilità che dovrebbe ricoprire la nuova risorsa. Solo quando si ha un quadro completo di chi cercare, si inizierà ad attuare una serie di strategie per entrare in contatto con i cv più in linea rispetto alla posizione.

2- Viene poi pubblicato l’annuncio di lavoro sul sito aziendale e sui diversi canali a disposizione e, contemporaneamente, si procede con quella che viene definita “ricerca attiva”. Non ci si limiterà a contattare soltanto i candidati che si sono proposti in modo spontaneo, ma anche quelli che possono essere dei candidati interessanti per la nostra offerta.
Per fare questo, ad oggi, abbiamo diversi strumenti a disposizione: oltre al classico passaparola, un po’ vintage ma sempre efficace, abbiamo strumenti 2.0 sui quali si possono pubblicare gli annunci come LinkedIn e Infojobs, che consentono di trovare la figura professionale più in linea con le richieste dell’azienda.

3- Successivamente avviene lo screening dei cv, una delle attività più importanti e più delicate perché i profili sono tanti e tutti diversi tra loro, ognuno con la propria storia.

4- Il primo contatto con il candidato può avvenire in diversi modi: con una telefonata o con un’e-mail. Se il feedback di questo contatto è positivo, si passerà ad un primo colloquio conoscitivo, in presenza oppure online.

5- Infine il colloquio, che rappresenta la parte centrale e più critica dell’intero processo di recruiting. Per questo possono essere necessari vari step, come il colloquio con l’HR Specialist, il colloquio tecnico con il futuro responsabile della risorsa o, se l’azienda è più strutturata, possono esserci anche ulteriori passaggi. Il colloquio, a mio avviso, ha bisogno di 3 ingredienti fondamentali: cura, sincerità e passione perché insieme fanno in modo che il candidato percepisca l’amore per ciò che si sta facendo.

Cosa deve fare un Recruiter dopo il colloquio?

Dopo il colloquio, un passaggio che viene spesso messo in secondo piano dal Recruiter è quello di dare un feedback al candidato.

Personalmente ho imparato a farlo, ma non è così scontato come si crede, perché ho scoperto la bellezza di ricevere “un grazie” nonostante si stiano comunicando notizie non molto piacevoli (parlo dell’importanza del feedback nell’articolo precedente, qui il link all’articolo).

Il ruolo del Recruiter non finisce con l’assunzione della persona in azienda, ma prosegue, quando è possibile, con la sua “cura”, ovvero facendo sentire la propria vicinanza al dipendente e rafforzando così il rapporto.

Concludendo, al contrario di quello che si pensa, fare selezione non è un lavoro banale. Dietro c’è una vera e propria ricerca per trovare la persona più adatta da inserire all’interno di un team e di una realtà aziendale, che collabori all’interno di un ecosistema già esistente.

LZ - metodologie Project Management

Le principali Metodologie di Project Management per la gestione dei progetti aziendali

Il Project Management è una disciplina fondamentale per il successo delle aziende, poiché consente di pianificare, eseguire e monitorare in modo efficace le attività necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Quali sono le principali metodologie di Project Management?

Esistono diverse metodologie di Project Management, ognuna con le proprie caratteristiche e approccio. In questo articolo, esploreremo alcune delle principali metodologie utilizzate nella gestione dei progetti aziendali. Ad oggi, esperienza alla mano, i più utilizzati sono le metodologie Waterfall e Agile.

Metodologia Waterfall (Cascata)

La metodologia Waterfall è uno dei primi approcci strutturati al Project Management.

Il processo è suddiviso in fasi sequenziali e lineari, ciascuna delle quali dipende dal risultato della fase precedente. Le fasi principali sono: analisi, progettazione, implementazione, test e manutenzione.

È una metodologia ben definita e particolarmente adatta a progetti con requisiti chiari e stabili.

Metodologia Agile

L’approccio Agile è flessibile e adattabile ai cambiamenti, focalizzandosi sulla consegna rapida e iterativa di prodotti o servizi.

Gli obiettivi vengono suddivisi in piccole attività chiamate iterazioni, spesso della durata di due o quattro settimane.

Alcune delle metodologie più popolari all’interno dell’Agile sono Scrum e Kanban. Il primo prevede iterazioni chiamate sprint, mentre il secondo si basa sulla visualizzazione delle attività e sul controllo del flusso di lavoro. Oltre a queste ce ne sono molte altre, come Lean, Service Design, Design Thinking.

Tuttavia è importante notare che queste metodologie spesso vengono adattate a settori e a contesti aziendali molto specifici, a differenza di Waterfall e Agile che vengono maggiormente utilizzate in versione pura o ibrida.

Al momento, l’approccio Agile è più diffuso e ampiamente adottato rispetto alla metodologia Waterfall. La principale ragione di questa crescente popolarità è la sua capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti e alle esigenze del cliente. La metodologia Agile promuove la collaborazione, la flessibilità e la consegna iterativa, consentendo alle organizzazioni di rispondere prontamente ai feedback dei clienti e di adattare i prodotti o i servizi in corso d’opera.

È fondamentale sottolineare che la scelta tra Waterfall e Agile dipende dalle specifiche esigenze e dalle caratteristiche del progetto. Progetti con requisiti ben definiti e stabili, in cui è possibile pianificare con precisione le fasi del progetto, potrebbero ancora beneficiare dell’approccio Waterfall. Ad esempio, progetti di ingegneria o di costruzione, spesso richiedono una pianificazione dettagliata e una struttura ben definita, rendendo Waterfall la soluzione più adatta.

Contattaci all’indirizzo info@laboratoriosoluzioni.it per avere maggiori informazioni in merito al Project Management e alla modalità Agile.

CLESSIDRA 3

Feedback: l’importanza di una risposta

La vita è fatta di domande e di risposte. Se delle prime siamo sommersi, le seconde invece sono sempre troppo poche. Per le persone è importante ricevere un feedback e lo è ancora di più quando si tratta di un’attività che occupa buona parte della vita, il lavoro.

Quando una persona si candida ad un annuncio di lavoro significa che sta cercando un’occupazione o nuove opportunità. Nel momento in cui il Recruiter contatta qualcuno sicuramente è perché ha suscitato in lui curiosità, vedendo nel suo profilo un potenziale candidato. È così che inizia il processo di selezione.

L’importanza di una risposta anche in caso di esito negativo

Durante i colloqui possono emergere determinate esperienze o situazioni che durante la lettura del cv non erano emerse. Si può scoprire, quindi, che il candidato che si pensava perfetto per la posizione in realtà non è quello giusto.

Ricontattare il candidato per dargli un feedback sarebbe un atto dovuto e dargli delle risposte sarebbe visto come un gesto di professionalità e di umanità. Rappresenterebbe un segno di rispetto e di lungimiranza, perché se quel candidato non è idoneo per la selezione di oggi potrebbe esserlo un domani. Inoltre, in questo modo il Recruiter darebbe una buona immagine dell’azienda che rappresenta, lasciando al candidato un’impressione positiva.

Il feedback non deve essere per forza una chiamata, può anche essere un’e-mail in cui si spiegano brevemente i motivi che hanno portato a questa decisione. Sarebbe importante però che l’e-mail non fosse quel classico “copia e incolla” ma una risposta personalizzata per ogni candidato, per farlo sentire ancora più importante e valorizzato. In questo modo si dimostrerebbe che, nonostante la selezione non sia andata a buon fine, si ha comunque piacere a dargli un riscontro, facendogli capire che non è soltanto un cv tra tanti, ma una risorsa a cui abbiamo dato valore.

Quali conseguenze comporta non dare un feedback?

Lasciare in sospeso i candidati è sbagliato, soprattutto per chi un lavoro non ce l’ha. Inoltre, tutto questo potrebbe tornarci indietro come un boomerang perché si avranno candidati sempre meno motivati ad ascoltare offerte di lavoro in maniera interessata.

Cercare lavoro è un vero e proprio lavoro: richiede tempo ed energie e io lo so bene perché prima di essere una Recruiter sono stata una candidata. So cosa vuol dire non ricevere delle risposte restando in attesa.

Cosa consiglio ai colleghi Recruiter?

Comunicare delle risposte è quindi fondamentale per noi Recruiter, sia in caso positivo che in caso negativo. Rappresenta anche un modo per mantenere dei rapporti e per coltivare delle relazioni nel tempo con quei candidati, perché mai dire mai, in futuro potrebbero essere proprio ciò che stiamo cercando e aver lasciato un’ottima impressione farà iniziare il processo di selezione con una marcia in più.

Quindi, colleghi recruiter, mi rivolgo a voi: dare un feedback è un’attività che richiede pochi minuti del nostro tempo e ci farà apparire persone serie, corrette e che svolgono il loro lavoro in modo efficiente. Nella vita i “no” ci saranno sempre, ma è meglio dire un no che lasciare le persone in un limbo con false speranze.

Project Management

Project Management: metodologie per guidare il valore e il successo delle attività di progetto

Il project management è un elemento cruciale per il successo di qualsiasi progetto. Le metodologie di project management forniscono un quadro strutturato per la pianificazione, l’esecuzione e il controllo delle attività, consentendo ai team di lavorare in modo efficiente e di raggiungere gli obiettivi stabiliti.

Project Management: quali sono i vantaggi?

Secondo uno studio del Project Management Institute (PMI):

  • l’89% delle organizzazioni adotta una forma di metodologia di project management per guidare i loro progetti;
  • il 71% delle organizzazioni affermano di utilizzarla o di averla adottata in modo significativo;
  • il 49% delle organizzazioni utilizza ancora la metodologia waterfall, soprattutto in settori come l’ingegneria e la costruzione.

Sempre secondo il PMI, le organizzazioni che utilizzano le metodologie di project management riportano una maggiore probabilità di raggiungere i propri obiettivi di progetto, rispetto a quelle che non le utilizzano.

Le metodologie di project management sono correlate a una maggiore efficienza e a una migliore gestione del tempo. Uno studio di PwC, una delle Big Four della consulenza a livello mondiale, ha rilevato che il 75% dei progetti, realizzati secondo metodologie di project management, ha rispettato i tempi previsti, rispetto al 56% dei progetti senza tali metodologie.

Inoltre, – e non è di poco conto – i progetti completati utilizzando una metodologia di project management hanno una probabilità del 17% in più di superare le aspettative di profitto, rispetto ai progetti non gestiti in modo strutturato.

Un ultimo parametro di misurazione può essere l’indice ROI (Return On Investment) del progetto: l’impiego delle metodologie di project management è, infatti, correlato a un maggiore ritorno sull’investimento. In particolare, sempre secondo il PMI, ogni dollaro investito in project management genera un valore aggiunto di 6,8 dollari.

Ma quali sono le metodologie di Project Management da poter utilizzare?

In letteratura, esistono molteplici tipologie di metodologie di project management, quali ad esempio Waterfall, Agile, SCRUM, SAFe e Kanban, solo per citarne alcune.

Di conseguenza, la scelta della metodologia da adottare diventa rilevante per il successo del progetto. Tale scelta dipende:

  • dalle caratteristiche del progetto;
  • dalle esigenze del team;
  • dalle preferenze dell’organizzazione.

In effetti, alcune metodologie si adattano meglio a progetti con requisiti ben definiti, mentre altre si concentrano sulla flessibilità e sulla capacità di adattamento ai cambiamenti. La comprensione delle diverse metodologie e la capacità di adattarle alle proprie esigenze può fare la differenza tra un progetto di successo e uno che fallisce.

In altri termini, investire tempo nella scelta e nell’implementazione della metodologia di project management giusta può portare a risultati positivi e allo sviluppo di competenze nel team, favorendo quindi lo sviluppo dei progetti, dell’azienda e delle persone che la compongono.

Taglio cuneo fiscale

Taglio del cuneo fiscale: un reale sostegno all’impresa?

Il 1° maggio 2023 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il Decreto Lavoro, che taglierà di 4 punti percentuali il cuneo fiscale. In termini semplici, il cuneo fiscale è la differenza tra lo stipendio lordo, versato dal datore di lavoro, e la cifra netta percepita dal dipendente in busta paga. Nello specifico, questo taglio andrà ad aggiungersi a quello già effettuato tramite la Legge di Bilancio per i redditi inferiori ai 35mila euro annui.

Presentato come sostegno tangibile contro l’aumento del costo della vita, -parole del ministro Giorgetti- il Decreto Lavoro si pone l’obiettivo di fronteggiare l’annoso problema dell’inadeguatezza salariale italiana. L’idea alla base non è una novità: adeguare gli stipendi al costo della vita permetterà di aumentare i consumi della popolazione, creando più mercato per le imprese.

Ma un minore ammontare di trattenute in busta paga rappresenta una vera soluzione al problema?

Cosa cambia in busta paga?

Questa misura, valida da luglio a dicembre 2023, permetterà di appesantire le buste paga dei lavoratori con retribuzione lorda annua fino a 35mila euro. Più nel dettaglio:

  • per retribuzioni fino a 25mila euro lo sconto percentuale salirà al 7 percento, contro il precedente taglio di 3 punti;
  • per la fascia compresa tra i 25 e i 35mila, invece, il taglio percentuale arriverà al 6 percento, dai 2 punti di cui già godeva.

Stando alle elaborazioni dello studio De Fusco Labour & Legal, questi tagli si tradurranno in un aumento di 96 euro al mese circa per un reddito di 25mila euro e di circa 99 euro per un reddito di 35mila euro.

La situazione italiana

In base al rapporto Taxing Wages reso noto dall’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), nel 2021 il cuneo fiscale in Italia è stato del 46,5%, al quinto posto della classifica. In testa, il Belgio (52,6%), seguito da Germania (48,1%), Austria (47,8%) e Francia (47%).

Ciò nonostante, dall’elaborazione Openpolis sui dati Ocse, la variazione dello stipendio medio in base all’inflazione nel decennio 1990-2020 si è attestata ad un 25,5% per il Belgio, 33,7% per la Germania, 24,9% per l’Austria e un 31,1% per la Francia, contro lo scoraggiante primato italiano che segna un peggioramento del -2,9%. Questo implica che gli stipendi in Italia, a differenza di quanto accaduto negli altri Paesi con elevata pressione fiscale, non sono stati adeguati all’inflazione degli ultimi vent’anni. È, quindi, evidente come l’erosione del potere d’acquisto nel nostro caso sia multifattoriale.

Vi è poi un’ulteriore considerazione da fare: nel caso in cui l’Italia dovesse ridurre il debito pubblico dello 0,85% del Pil, così come previsto, per il governo sarebbe a dir poco difficile riuscire a reperire finanziamenti per un nuovo taglio del cuneo fiscale nel 2024. È, perciò, chiaro come questo genere di misura vada interpretata in un’ottica di temporaneità, più che come un’effettiva soluzione a medio-lungo raggio.

Il vero motivo per cui gli stipendi sono così bassi

Sempre dati Ocse alla mano, è possibile notare che la produttività generale dei fattori (manodopera, capitali, ecc.) è praticamente la stessa dal 1985 in Italia; eccezion fatta per il biennio 2020-21, dove la statistica è stata pesantemente influenzata dalla pandemia e dal lockdown.

In un contesto di scarsa produttività, le uniche due strategie per poter rimanere competitivi a livello internazionale consistono nel mantenere una bassa retribuzione, oppure applicare politiche economiche che vadano ad aumentare il debito pubblico per compensare la svalutazione del tasso di cambio. Da queste valutazioni, emerge il fatto che il vero nocciolo della questione non è tanto nella tassazione del lavoro, quanto nella mancata crescita economica del paese.

Certo, una delle cause di questo è dovuta all’elevata tassazione e alla difficoltà di accedere al credito (e il rapporto della Banca Mondiale, Doing Business, lo conferma), ma il Centro Studi Fondazione Ergo sottolinea come siano da prendere in considerazione anche la tendenza diffusa nel tessuto produttivo italiano a:

  • Non investire in innovazione;
  • Effettuare produzioni a basso contenuto tecnologico;
  • Non investire abbastanza nella formazione dei lavoratori (con conseguente disallineamento tra domanda e offerta di lavoro);
  • Non preparare adeguatamente i manager e gli imprenditori stessi.

Inoltre, secondo un ulteriore studio basato sulle statistiche Eurostat 2019-2021, oltre alle cause precedentemente nominate, a incidere sul valore del salario medio italiano, si aggiunge:

  • Una forte discontinuità lavorativa (ricorso eccessivo a contratti di lavoro non standard);
  • Una crescente presenza di qualifiche più basse (scarse quote di dirigenti, professioni intellettuali e scientifiche).

Conclusioni

Andando ad analizzare le cause del ristagno economico italiano, emerge quindi come il cuneo fiscale elevato sia solamente parte di una situazione più complessa e sfaccettata. In definitiva, riteniamo che il futuro dell’impresa italiana, più che fare affidamento su “soluzioni tampone”, come possono essere quella del taglio al cuneo fiscale, debba puntare a una strategia lungimirante, che miri a tornare competitiva sul panorama europeo e internazionale, tramite interventi di riqualificazione del tessuto produttivo.

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HR crisi d'impresa

Il ruolo delle Risorse Umane nella gestione delle crisi aziendali

Crisi aziendale e piano di gestione per la crisi

Per “crisi aziendale” si intende una minaccia, esterna o interna, ai valori fondamentali e alle funzioni operative aziendali che può portare, nei casi più gravi, al fallimento della società. Al giorno d’oggi, ogni azienda dovrebbe redigere un piano per la gestione della crisi (crisis management plan), volto a rilevare e minimizzare il potenziale danno rappresentato da una crisi.

Ma che ruolo possono avere le Human Resources (HR) nella gestione di una crisi aziendale?

Una crisi aziendale può avere un grave impatto sulla salute mentale dei dipendenti, nonché sulla loro capacità di svolgere adeguatamente le loro mansioni ed è qui che entra in gioco il ruolo dell’HR. Com’è noto, due delle funzioni principali riconosciute all’HR nel mondo aziendale sono quelle di gestire la comunicazione interna, in particolare tra dipendenti e manager, e garantire il benessere del personale sul posto di lavoro. In effetti, si dimostra che incorporare il benessere dei dipendenti all’interno del proprio piano di gestione della crisi conferisce maggiori possibilità di successo, rispetto alle aziende che si occupano esclusivamente di proteggere i sistemi e i processi aziendali, senza quindi cercare di salvaguardare il capitale umano aziendale.

Obiettivi dell’HR in relazione alle crisi aziendali

L’HR, quindi, deve essere in grado di:

  • informare i dipendenti sulle potenziali crisi che possono interessare l’organizzazione;
  • rendere i dipendenti consapevoli del loro ruolo nell’affrontare la crisi.

A tal proposito, spesso le risorse umane creano e conducono corsi di formazione e sviluppo professionale all’interno dell’organizzazione. In particolare, la formazione sulla gestione delle crisi per la direzione e il personale chiave è una componente fondamentale di un’efficace gestione delle crisi.

Lo scopo finale della gestione della crisi è quello di riportare l’azienda verso le normali operazioni, nel modo più efficace possibile. Nonostante il fatto che alcune crisi siano impossibili da prevedere o pianificare, ha comunque senso la gestione delle crisi aziendali. Infatti, è proprio il modo in cui tali crisi vengono gestite a fare la differenza tra ripresa organizzativa e collasso. Il ruolo delle risorse umane, in questi tempi delicati, è quello di guidare politiche e strategie che diano priorità al benessere dei dipendenti e promuovano una comunicazione interna aperta e costruttiva.

Social Recruiting su LinkedIn (1)

Il Social Recruiting su LinkedIn: un mezzo non solo per i Recruiter

LinkedIn non è solamente un social network utilizzato dai recruiter. Infatti, può – e deve essere –  uno strumento utile anche per il candidato che vuole “essere cercato” per un’eventuale opportunità di lavoro. Spesso, i recruiter sono in difficoltà nello svolgere la ricerca su LinkedIn, sia a causa della difficoltà di trovare profili adeguati al settore in cui si sta cercando, sia perché gli utenti non colgono le grandi potenzialità nascoste in questa piattaforma.

Cosa dovrebbe fare il candidato?

LinkedIn è un social network a tutti gli effetti e, come tale, richiede un certo investimento di tempo: se usato bene, può essere un’ottima vetrina. In altri termini, il candidato deve essere in grado di farsi trovare, rendendo quindi il suo profilo chiaro, trasparente ed interessante. Sul lato pratico, spesso si osservano profili incompleti e spenti (ad esempio, senza alcuna foto). Un profilo, per essere considerato attraente da parte del recruiter, dovrebbe trasmettere credibilità e completezza, inserendo anche qualcosa di personale (ma comunque utile ai fini della selezione), ponendosi domande come:

  • cosa faccio?
  • che problemi risolvo?
  • che impressione voglio dare come persona?
  • quali sono i miei hobby?

Di fatto, nonostante si tratti di un profilo professionale, si possono evidenziare anche gli hobby e le passioni, in quanto spunti importanti per fornire elementi di discussione durante un eventuale colloquio. Anche l’inserimento di keyword è significativo, in quanto il recruiter, nel momento in cui avvia una ricerca, lo fa attraverso parole chiave per individuare il profilo più adatto alle sue esigenze.

Cosa dovrebbe fare il recruiter?

Evidentemente, dall’altro lato, anche il profilo del recruiter deve essere completo, adeguato e credibile, in quanto ne va della sua reputazione come professionista. In effetti, il candidato incuriosito deve poter trovare conferma della professionalità e veridicità delle informazioni nel profilo del suo recruiter.

Inoltre, si osserva che un errore comune commesso dai recruiter è quello di non creare una community importante, ma usare LinkedIn come un semplice database di CV: si sminuisce, così, il concetto della piattaforma “sociale”. Questo aspetto è importante, perché solo creando una vera community e solo se usato con intelligenza e professionalità, LinkedIn può essere impiegato come mezzo per trovare, coinvolgere, costruire e coltivare relazioni con potenziali candidati.

Concludendo, nella fase di ricerca di lavoro, sia dal lato del candidato che dal lato del recruiter, ciò che conta veramente sono le relazioni, la credibilità, il personal brand e la completezza del profilo per costruire un rapporto con le persone. Il tempo ben investito porterà sicuramente a dei buoni risultati.

Rottamazione-quater

Rottamazione-Quater: la proroga dei termini “secondo” il MEF

Nell’ambito della c.d. rottamazione-quater, una novità assai recente è intervenuta con il comunicato stampa n. 68 del 21 aprile 2023 scorso, da parte del MEF, che ridefinisce il termine per presentare la domanda di adesione alla procedura, rinviandolo dal 30 aprile al 30 giugno 2023.

Rottamazione-Quater, di cosa si tratta?

La L. n. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023) ha introdotto, all’art. 1 co. 231-252 la c.d. “rottamazione-quater”, la nuova procedura di rottamazione delle cartelle di pagamento relative debiti tributari e contributivi contenute in carichi affidati all’agente della riscossione (ex Equitalia, ora Agenzia Entrate-Riscossione) dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022.

L’agevolazione per il contribuente consiste nello stralcio degli interessi, degli aggi e delle sanzioni amministrative; ciò comportando, sul piano pratico, che siano dovute unicamente le somme a titolo di capitale, nonché le spese di notifica della cartella e di rimborso spese per le eventuali procedure esecutive.

Chi può beneficiare della rottamazione?

La rottamazione è fruibile:

  • dai contribuenti che non hanno presentato domanda per le rottamazioni precedenti;
  • dai contribuenti che hanno aderito alle precedenti rottamazioni e che sono decaduti a seguito di mancato pagamento delle rate;
  • dai contribuenti che hanno fruito del c.d. “saldo e stralcio” degli omessi versamenti ex L. 145/2018 e che sono decaduti a seguito di mancato pagamento delle rate;
  • dai contribuenti che hanno in corso rate relative al c.d. “saldo e stralcio” e alle precedenti rottamazioni.

Le modalità operative per accedere alla definizione

Il beneficio è fruibile mediante la presentazione, da parte del contribuente, di una dichiarazione telematica (secondo le modalità indicate dall’agente della riscossione sul proprio sito internet) recante la volontà di aderire all’agevolazione rinunciando agli eventuali contenziosi pendenti relativi ai carichi che intende definire, con l’indicazione eventuale del numero delle rate, fino al massimo di 18, con cui intende effettuare il pagamento di quanto dovuto. Tale domanda deve essere presentata entro il 30 giugno 2023.

In un momento successivo, e comunque entro il 30 settembre 2023, l’agente della riscossione comunicherà al contribuente l’importo delle somme o delle rate da versare, con le relative scadenze (entro la stessa data dovrà essere comunicato l’eventuale diniego della richiesta avanzata, con evidenza delle motivazioni di rigetto della stessa – l’eventuale diniego potrà essere impugnato davanti al giudice tributario).

Dopodiché, al fine del perfezionamento della procedura, il pagamento dovrà essere tempestivo. Il mancato, tardivo o insufficiente versamento, infatti, che sia superiore a cinque giorni dell’unica rata ovvero di una di quelle in cui è stato dilazionato il pagamento delle somme comporta la decadenza dal beneficio in oggetto.

In base alle nuove scadenze, il pagamento della prima o unica rata ha come termine il 31 ottobre 2023, mentre la seconda rata, in base al calendario attuale e salvo eventuali modifiche future, ha scadenza il 30 novembre 2023. Sia la prima che la seconda rata dovranno essere pari, ciascuna, al 10% delle somme complessivamente dovute a titolo di definizione agevolata, mentre le restanti (16) rate saranno di pari importo e avranno scadenza il 28 febbraio, 31 marzo, 31 luglio e 30 novembre di ciascun anno.

I versamenti potranno avvenire mediante bollettini precompilati allegati alla comunicazione, tramite domiciliazione bancaria o presso gli uffici dell’agente della riscossione. È in ogni caso esclusa la compensazione.

La proroga dei termini e le nuove scadenze

Come anticipato sopra, il termine per la presentazione della domanda è stato ora rinviato al 30 giugno, “slitta” così di conseguenza al 30 settembre 2023 (invece che al 30 giugno) il termine entro il quale l’Agenzia delle Entrate-Riscossione è tenuta a comunicare al contribuente quanto dovuto ai fini del perfezionamento della definizione.

Il comunicato del MEF si conclude specificando che interverrà una nuova disposizione, la quale stabilirà che il termine per il pagamento della prima o unica rata, originariamente fissato al 31 luglio 2023, slitterà al 31 ottobre 2023.

Per richieste specifiche o approfondimenti relativi alla rottamazione, contattaci all’indirizzo bfaimpresa@bfamail.com.

Digital trasformation

Digital Transformation: un abilitatore per la trasformazione interna dell’azienda, non solo upgrade tecnologico

Sempre di più il termine Digital Transformation è entrato nel vocabolario quotidiano delle aziende. Se ne parla a tutti i livelli: ne parla l’imprenditore, ne parlano i manager e ne parlano le persone che gestiscono le attività quotidiane dell’ufficio.

È probabilmente uno dei “trend topic” del momento ed è difficile trovare un’azienda che non stia sperimentando progettualità di trasformazione digitale. Il tema e la sua rilevanza sono stati ribaditi una volta in più durante lo scorso G20 in Indonesia di fine 2022.

Una delle definizioni che, secondo me, ne restituisce una fotografia realistica può essere la seguente:

“un insieme di cambiamenti abilitati dalle nuove tecnologie, in termini: operativi, gestionali, organizzativi, manageriali e di cultura interna.”

Io ritengo che la Digital Transformation debba essere un’occasione per ripensare e semplificare il modo di lavorare in azienda, facendo leva sulle nuove tecnologie.

Non deve essere una copia digitale delle attuali modalità di lavoro o un mero upgrade tecnologico. Il tutto tenendo sempre bene in considerazione il problema da risolvere e/o il vantaggio che si vuole conseguire.

Quali aspetti prendere in considerazione?

Nell’equazione della Digital Transformation quindi si possono tenere in considerazione tre elementi:

  1. Tecnologia quale fattore abilitante di nuovi modi di lavorare;
  2. Valore e/o vantaggio creato dall’usare nuovi strumenti di lavoro;
  3. Livello di adozione della tecnologia da parte delle persone nella quotidianità e conseguente sviluppo di nuove competenze in azienda.

Per questo motivo credo che le Funzioni HR debbano sempre di più partecipare attivamente ai progetti di trasformazione digitale, mettendo in campo tutti i loro strumenti di supporto e affiancamento alle persone affinché ogni progetto digitale possa divenire un caso di successo.

Alcuni esempi possono essere:

  • formazione e upskilling di team e persone;
  • analisi e riprogettazione di ruoli e responsabilità all’interno dell’organizzazione;
  • ottimizzazione dei processi interni, eliminando le attività a basso valore aggiunto;
  • attivazione di percorsi di adozione e change management;
  • comunicazione interna ed ingaggio delle persone;

e non solo!

Da dove partire, quindi?

Le esperienze progettuali degli ultimi anni mi portano a suggerire di applicare una metodologia specifica di gestione dei progetti di trasformazione digitale, basata su:

  1. Creare un team di progetto, già dalle prime battute, che sia multidisciplinare tra IT, Business e HR;
  2. Operare uno scouting delle tecnologie di mercato per le specifiche esigenze e/o obiettivi e raccogliere informazioni su best practises ed opportunità create dall’adozione della nuova tecnologia;
  3. Gestire il progetto di trasformazione digitale in modo integrato, mettendo al centro le persone per un’efficace adozione della tecnologia.

Il successo risiede nell’armonizzare queste 3 componenti affidando un mandato chiaro ai manager dell’azienda.

Articolo blog_linkedin per ricerca talenti

3 consigli per lanciare un’offerta di lavoro efficace su Linkedin.com

LinkedIn sta crescendo ad una velocità incredibile. Lo dicono i numeri: si registrano alla piattaforma più di 2 nuovi utenti al secondo.
Questo come si traduce per le aziende e i Recruiter presenti su LinkedIn?
Poter attingere ad una rete di candidati e potenziali clienti / collaboratori sempre più ampia e varia. Solo in Italia, infatti, ci sono attualmente 16 milioni di iscritti.

Se in questo momento sei alla ricerca di nuove Risorse da inserire nella tua azienda, LinkedIn può essere lo strumento giusto. Esiste, infatti, una funzionalità che permette di pubblicare offerte di lavoro, sia gratuitamente che a pagamento.
Per accedervi è necessario cliccare in alto a destra sulla voce “Lavoro” e cliccare su “Pubblica un’offerta di lavoro”.

Per sfruttare a pieno le potenzialità di questo strumento e facilitare il lancio della tua prossima offerta di lavoro, voglio darti alcuni consigli pratici.

1. Inserisci la qualifica che descrive al meglio la persona che stai cercando

La prima informazione che ti viene richiesta per trovare il candidato giusto è inserire la qualifica. LinkedIn te ne proporrà una lista tra le quali scegliere.
Se, però, nessuna di queste calza a pennello con la tua ricerca, non temere: potrai inserirne una personalizzata, che descrive al meglio la risorsa che stai cercando.

2. Sii esaustivo nella job description

La job description deve fornire tutti i dettagli sulla posizione in modo chiaro e dettagliato.

Non dimenticare, dunque, di riportare:
– Una breve descrizione della tua azienda
– Le attività che andrà a svolgere la risorsa
– Le skills (soft e hard) che si richiedono al candidato
– La natura del contratto, i benefit previsti e la RAL

Fai attenzione a non discriminare i candidati per genere, età, sesso, orientamento politico, ecc. LinkedIn potrebbe bloccarti l’annuncio.

3. Non dimenticare le competenze!

Inserisci le competenze che deve possedere il candidato.
In questo modo l’algoritmo raggiungerà le persone che risultano più in linea con la tua ricerca. 

Se ti interessa approfondire il tema relativo alle Risorse Umane, contattaci all’indirizzo e-mail consulenza@bfaimpresa.com oppure visita il nostro sito web.